Bruxelles – Troppa Cina in Europa. Un tema non nuovo, che ha destato preoccupazioni e alimentato inquietudini in Parlamento europeo, incluso l’allora eurodeputato Silvio Berlusconi. L’attività del leader di Forza Italia, nei registri dell’istituzione Ue, si ferma a settembre 2022. Ma tra le varie interrogazioni parlamentari spicca quella di novembre 2020 in cui accende una volta di più i riflettori sulle penetrazione della Repubblica popolare, delle sue imprese e dei suoi imprenditori, nel mercato nazionale e nel mercato unico. Denunciava allora il “disegno di espansione economica della Cina in Europa”, con il conseguente “rischio di una dipendenza dell’Europa dalla Cina”.
La risposta fornita per l’occasione rispecchia la natura ancora troppo confederata e troppo poco federale. Perché Valdis Dombrovskis replicò a Berlusconi ricordando che spetta gli Stati evitare una penetrazione eccessiva di operatori di Paesi terzi. “La Commissione ritiene che gli Stati membri debbano mantenere un meccanismo che consenta loro di controllare gli investimenti esteri diretti in tutti i settori per motivi di sicurezza o di ordine pubblico”.
I numeri non sono più aggiornati, chiaramente. Ma alla fine del 2020 Berlusconi notava sul territorio italiano 50.797 imprenditori attivi nati nella Repubblica popolare cinese, con una parte significativa, circa 17mila, nel solo settore manifatturiero. Un ragionamento figlio anche del Berlusconi imprenditore, e pur sempre componente della commissione Affari esteri del Parlamento Ue. In questa veste ha guardato ad una porzione di resto del mondo, contribuendo, al ragionamento che ha animato dibattito e agenda del blocco dei Ventisette sulla questione cinese.