Uno dei maggiori temi in discussione in queste settima a Bruxelles, e, a quanto vedo, anche in altre capitali nell’Unione europea, è che aspetto avrà la prossima legislatura, quella che partirà tra giugno e novembre del prossimo anno, quando saranno rinnovati il Parlamento (tra il 6 e il 9 giugno), Commissione e presidenza del Consiglio europeo (tra novembre e dicembre).
E’ chiaro che la scelta delle tre maggiori cariche europee è un lavoro che le lega tra loro, in un complicato equilibrio tra governi al potere, numeri in Parlamento, provenienze geografiche, ed anche genere. Per non dire che c’è grande incertezza anche su un altro tema di rilievo: il prossimo segretario generale della Nato. Perché l’attuale, il norvegese Jens Stoltenberg, in carica dal 2014, è in scadenza dopo l’estate, ma non è affatto chiaro, oggi, se sarà sostituito quest’anno (l’indicazione dovrebbe arrivare dal vertice dell’Organizzazione a Vilnius dell’11 e 12 luglio) o se, per la difficoltà ad individuare candidati, con il pretesto della continuità di fronte alla risposta all’invasione russa in Ucraina, non si decida di aspettare ancora un anno. Il che, di fatto aumenterebbe le caselle da riempire in un equilibrio generale.
Per quanto riguarda il Parlamento, guardando ai sondaggi che girano e osservando le cose con una certa ragionevolezza, al momento non sono prevedibili cambiamenti radicali. L’unica regola imposta dai Trattati europei per le elezioni di questo organo è che siano proporzionali. Poi si possono avere liste bloccate, non bloccate, circoscrizioni piccole o grandi, ma la norma è questa. Bisogna tenerla presente, perché se anche nel Paese membro X cambia la maggioranza di governo, ad esempio da sinistra a destra, questo non vuol dire che automaticamente cambia anche la rappresentanza parlamentare in maniera altrettanto significativa. Il partito di Sinistra A che perde la maggioranza per governare (prendo questo esempio perché questo è il caso più diffuso negli ultimi tempi nell’Unione) magari perde due, tre, quattro punti percentuali, il che non vuol dire un tracollo (con gli stessi elettori) del numero dei deputati inviati a Strasburgo.
Dobbiamo ricordarci di ragionare sempre “a 27”, nel senso che fare un’analisi a partire da un solo Paese è sbagliato. Prendiamo l’Italia: è certo che Fratelli d’Italia avrà un forte aumento dei suoi rappresentanti, ma è anche certo che la Lega avrà un forte calo rispetto a quell’oltre 34 per cento che prese nel 2019. Il che porterà la delegazione della destra ad avere una rappresentanza (per altro divista in due diversi gruppi politici nel Parlamento) che numericamente potrebbe essere molto simile, se non addirittura minore, dell’attuale.
In altri Paesi membri le differenze sono spesso minori, la vittoria o la sconfitta si misurano su percentuali che stanno sulle dita di una mano, il che, dunque, non fa prevedere terremoti, e dunque, se anche probabilmente indebolita (in Spagna potrebbe esserci un forte spostamento degli elettori verso la destra), l’attuale maggioranza al Parlamento (popolari, socialdemocratici e liberali) resterà l’unica praticabile. Nonostante i tentativi del Ppe, di una parte del Ppe a dire il vero, di spostarsi verso destra e di tentare una nuova maggioranza.
Però per i governi le cose sono diverse. Come dicevo basta una differenza minima per cambiare un premier, e dunque con le importanti elezioni che avremo nei prossimi sei mesi (Spagna, Slovacchia, Polonia e Grecia, dove però l’esito appare chiaro con una rafforzata conferma dell’attuale premier), potremmo assistere a significative novità nel gruppo di coloro che indicano il presidente della Commissione europea al voto di conferma del Parlamento. Ed è proprio questo tipo di incertezza, proprio il fatto che non c’è più una maggioranza di governi i cui leader condividono l’appartenenza allo stesso gruppo politico, unita alla difficoltà di dialogo tra molti di loro, che da una parte potrebbe rendere le cose più complicate ma dall’altra, quella probabilmente più credibile, potrebbe far convergere sulla conferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione, cosa che leri desidera ed alla quale sta lavorando attivamente. Per impossibilità (o incapacità) di trovare soluzioni alternative condivise tra i governi.
Poi ci sarà la questione della presidenza del Consiglio europeo, attualmente in mano al liberale belga Charles Michel. Sarà la volta che i socialdemocratici riusciranno a piazzare uno dei loro?