Bruxelles – “Ho il diritto di mostrare il mio colore, tesoro! Sono bella e so di esserlo” così diceva Crystal LaBeija, Madre della Royal House of of LaBeija nel 1968.
Intorno alla fine degli anni Sessanta, a New York, più precisamente nel quartiere di Harlem, nasceva proprio grazie a Crystal LaBeija la ball culture. In un periodo di forte oppressione razziale e sociale, le comunità afroamericane e latine LGBTQ+ decisero di riunirsi e di fondare le loro competizioni, ball, dato che spesso venivano escluse dai concorsi ufficiali.
A sfidarsi durante queste ball erano le varie “case”, luoghi che rappresentavano un vero e proprio sostituto della famiglia, dove ognuno veniva accolto per ciò che era, senza discriminazione e anzi tramite ascolto e supporto. Degli spazi sicuri dove ognuno poteva esprimersi liberamente e crescere.
Nel 1972 Crystal LaBeija, con la sua amica Lottie, fondò la House of LaBeija, prima “casa” ad ospitare ball per le comunità afroamericane e latine vittime di discriminazione e razzismo all’interno di quelle competizioni ufficiali organizzate esclusivamente da bianchi nei quartieri centrali di New York.
È proprio la House of LaBeija la protagonista dell’esposizione inaugurata al Bozar sabato 20 maggio e in mostra fino al 21 luglio. Si tratta di una collezione di 39 fotografie che testimoniano l’Harlem Fantasy Ball II del 1982, organizzato da Pepper LaBeija, succeduta a Crystal come madre della casa, e da Dorian Corey.
In quell’anno fu chiamato, per la prima volta, un gruppo di documentaristi, tra cui il giovane fotografo Nick Kuskin, al quale dobbiamo la paternità delle foto in mostra, per ritrarre proprio lo spirito e l’importanza che i ball rappresentavano per le comunità.
Durante gli anni in cui l’amministrazione repressiva del presidente Ronald Reagan, e la sua mancata risposta alla crisi
dell’AIDS che stava devastando intere comunità, la House of LaBeija rappresentò uno spazio di relazioni, di celebrazione e di accettazione per le persone emarginate. I ball erano azioni politiche di resistenza ed emancipazione, luoghi che hanno accresciuto la consapevolezza di un movimento globale per la difesa e il diritto alla visibilità delle comunità nere e queer.
Il team curatoriale della mostra, oltre allo stesso Nick Kuskin e Alberta Sessa, curatorial project coordinator del Bozar, ha visto collaborare altre tre figure molto importanti e vicine ai temi affrontati. Kopano Maroga, artista performativo, scrittore e operatore culturale sudafricano, cofondatore dell’organizzazione artistica socio-culturale ANY BODYZINE; Kevin Burrus, conosciuto come Kevin Ultra Omni, attivista LGBTQ+, pezzo di storia della ball culture e fondatore nel 1979 della House of Omni e Jeffrey «Kiddie Liddah» LaBeija, supervisore generale della House of LaBeija.