Bruxelles – Le elezioni europee sono distanti, un anno può cambiare tutto. Ma ogni piccolo episodio, ogni decisione politica da oggi in avanti potrà avere un impatto significativo sul risultato finale, con un effetto a cascata che adesso è ancora difficile da misurare. Ne è un esempio il continuo avvicinamento a piccoli – ma incessanti – passi tra il presidente del Partito Popolare Europeo (Ppe), Manfred Weber, e la premier italiana e leader del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), Giorgia Meloni. O la consultazione voluta dalla presidente del gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento Europeo (S&D), Iratxe García Pérez, per un possibile cambio di nome, i cui risultati saranno resi noti a breve ma non prima di aver scatenato le dure reazioni della delegazione italiana del Partito Democratico.
In altre parole, non c’è dubbio che siamo entrati nell’anticamera della campagna elettorale in vista dell’appuntamento al voto che al momento si potrebbe tenere in una finestra temporale tra il 23 maggio e 9 giugno 2024. È la sensazione che si avverte ascoltando le parole dei leader dei gruppi politici alla sessione plenaria dell’Eurocamera a Strasburgo, soprattutto quelli più ‘rumorosi’ dal punto di vista mediatico: Weber e García Pérez. Ad aprire le danze davanti al cancelliere tedesco, Olaf Scholz (al termine del suo intervento alla plenaria), è stato il presidente dei popolari, tornato all’attacco con uno dei suoi cavalli di battaglia: “Avere più democrazia per questo Parlamento significa poter scegliere un candidato o una candidata con contenuti e idee”. Il riferimento è al sistema degli Spitzenkandidaten, vale a dire che tutti gli elettori devono poter votare per il candidato di ogni partito politico europeo alla carica di presidente della Commissione Europea: dopodiché seguirà un accordo interistituzionale tra Parlamento e Consiglio Europeo.
Weber ha messo a tacere pubblicamente le voci che vedrebbero la sua Unione Cristiano-Sociale (Csu, metà del blocco conservatore formato insieme all’Unione Cristiano-Democratica) puntare sul naufragio di un sistema che ha garantito all’ex-presidente popolare dell’esecutivo comunitario Jean-Claude Juncker la nomina a Berlaymont nel 2014, mentre cinque anni più tardi la sua successora, Ursula von der Leyen, non ha seguito la stessa traiettoria: alle elezioni europee del 2019 era proprio Weber lo Spitzenkandidat dei popolari, ma dopo il voto del 26 maggio la storia non è andata come il politico tedesco avrebbe sperato. “Vale per i sindaci, vale per i governi, deve valere anche per un presidente della Commissione Europea“, ha aggiunto Weber, incalzando Scholz (suo avversario politico in Germania in qualità di leader socialdemocratico): “Le chiedo meno giochetti al Consiglio e più democrazia qui al Parlamento”.
Parole che hanno strappato un sorriso ironico alla presidente del gruppo S&D García Pérez, che non ha risparmiato l’occasione per attaccare il collega popolare per il suo percorso di avvicinamento all’estrema destra nel corso dell’ultimo anno. “Per noi l’Europa è soprattutto una comunità di valori, la cosa importante è essere consapevoli che dobbiamo rafforzare l’alleanze che sono riuscite a costruire un progetto europeo basato sui valori comuni, anziché metterci accanto a coloro che lo vogliono deteriorare”. E poi la stoccata esplicita alle ‘tentazioni’ del numero uno del Ppe nella parte a destra dell’emiciclo: “Sappiamo da che parte sta Weber, con Meloni contro Scholz, ognuno potrà scegliere da che parte stare“. Ad appesantire il clima tra socialdemocratici e popolari c’è in particolare la recente tendenza del Ppe a strizzare l’occhio al cosiddetto ‘partito agricolo’ – che in realtà nei Paesi Bassi si è già organizzato nel Movimento Civico-Contadino e ha vinto a marzo le elezioni provinciali – promettendo un’annacquamento del Green Deal Europeo laddove sono in gioco gli interessi degli agricoltori (pesticidi, ripristino della natura, emissioni).
In caso di strappo definitivo tra S&D e Ppe in questo anno che ci separa dalle urne, Weber dovrà avere le spalle coperte da un’alternativa percorribile. Cosa che al momento non sembra essere reale, considerati i sondaggi elettorali e il posizionamento dei gruppi. Come confermano a Eunews fonti interne al gruppo di Renew Europe, in caso di tentativo di cercare un’alleanza di destra al Parlamento Ue, i liberali “non daranno mai l’appoggio a una coalizione Ppe-Ecr-Id” (per intendersi, una replica della maggioranza italiana Forza Italia-Fratelli d’Italia-Lega). E in ogni caso Weber rischierebbe di “spaccare il partito”, considerato il fatto che né i popolari polacchi né quelli tedeschi potrebbero digerire la presenza di partiti come il PiS di Mateusz Morawiecki – “dopo aver cacciato Fidesz di Viktor Orbán“. Fonti di peso all’interno di Identità e Democrazia confermano però che tra Weber e il presidente del gruppo al Parlamento Ue, Marco Zanni (Lega), c’è un “dialogo costante” e che la possibile convergenza con la premier italiana Meloni potrebbe essere intesa come un tentativo di garantirsi “una figura forte in Consiglio” per le discussioni post-voto nella scelta della presidenza della Commissione. Le stesse fonti fanno notare che comunque non ci saranno “assolutamente” i numeri per una maggioranza Ppe-Ecr all’Eurocamera nella prossima legislatura e “l’unica cosa intelligente” per il presidente dei popolari sarà proprio aprire al dialogo con tutte le destre. Confermando le accuse che già oggi arrivano dai banchi dei socialdemocratici.