Bruxelles – Sarebbe da matti anche solo pensare che domani il Parlamento europeo possa opporsi alla ratifica della Convenzione di Istanbul, il trattato internazionale sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. Sarebbe da matti perché proprio l’Eurocamera lo scorso febbraio ha chiesto a gran voce alla presidenza svedese del Consiglio europeo di concludere un processo di adesione iniziato sei anni fa con la firma. E perché, ora che i 27 Stati membri si sono detti pronti, manca solo l’ultimo passo formale, che dovrà compiere l’aula di Strasburgo con il voto alle porte (10 maggio). Eppure, ad ascoltare il dibattito tenutosi oggi (9 maggio) in preparazione al voto, è legittimo che vi sia qualche dubbio. E la certezza che esiste un’Europa pronta a girarsi dall’altra parte.
Su un tema così drammatico e trasversale sembrava davvero difficile che ci fosse spazio per opinioni tanto divergenti. I numeri sono numeri, e sono impietosi: una donna su tre in Europa subisce violenza fisica e/o sessuale nell’arco della propria vita, i femminicidi sono in aumento in diversi Paesi dell’Unione, la pandemia ha aggravato ancora di più le dimensioni del fenomeno. L’hanno sottolineato diversi eurodeputati nei loro interventi, evidenziando l’importanza di adottare a livello europeo uno strumento giuridicamente vincolante per proteggere le vittime e perseguire i trasgressori. Ma altri, quasi tutti uomini e appartenenti ai gruppi di destra, si sono scagliati contro la Convenzione, rea di non aver veramente migliorato la situazione negli Stati che l’hanno ratificata, e hanno agitato lo spauracchio dell’ideologia gender che si insinuerebbe tra le pagine del trattato.
Una prima argomentazione è che dovrebbero essere gli Stati, non l’Ue, ad aderire a tale carta. Dei 27 Paesi membri, sono 6 quelli che ancora rifiutano di ratificare la convenzione: Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia. Ma, come stabilito nell’ottobre 2021 dalla Corte di Giustizia dell’Ue, questo non impedisce all’Unione europea di proseguire alla ratifica.
Dal gruppo dei Conservatori (Ecr) il grido d’allarme ideologico, sollevato da più europarlamentari, a più riprese: la Convenzione di Istanbul è “strumento di propaganda lgbtq+“, perché definisce il genere come “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini” e perché invita i Paesi aderenti a includere nei programmi scolastici materiali didattici sui “ruoli di genere non stereotipati”. Anche Alessandra Basso, eurodeputata della Lega e del gruppo Identità e Democrazia (Id), ha puntato il dito contro “la volontà di introdurre l’ideologia gender tra le righe” del trattato, e rilancia che nelle scuole “serve insegnare il rispetto che manca soprattutto in determinate culture”.
Scoperchiato il vaso di Pandora: prima il danese Anders Vistisen (Id), poi l’azzurra Isabella Adinolfi (Ppe), hanno colto l’occasione e si sono scagliati contro gli stranieri. “Mai come ora la convenzione è necessaria, perché con l’aumento dell’immigrazione la situazione in Paesi di primo approdo come l’Italia è drammatica”, ha dichiarato Adinolfi prima di elencare gli ultimi casi in cui “un marocchino, un bengalese, un gruppo di africani” si sono resi colpevoli di atti di violenza di genere.
Di tutt’altro tenore le dichiarazioni del mondo progressista europeo, che vede nella giornata di domani la coronazione di un lavoro portato avanti da anni. Ma che da solo non basterà a sconfiggere la violenza contro le donne. Ne sono convinte la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno (Pd) e l’eurodeputata Alessandra Moretti, secondo cui la ratifica della Convenzione dovrà essere accompagnata “da una forte politica culturale che si realizza prima di tutto all’interno delle scuole con l’educazione alla sessualità e alla salute sessuale”.
A chiudere le oltre due ore di dibattito e cercare di trovare una sintesi tra due posizioni agli antipodi, la commissaria Ue per l’Uguaglianza, Helena Dalli: “Ascoltando gli interventi sono ancora più determinata a lavorare duramente su questo tema, c’è bisogno di maggiore dialogo”, ha avvertito la commissaria. Che ha ricordato a chi era ancora presente in aula che sulla violenza sulle donne non c’è spazio per opinioni così distanti, “stiamo parlando di fatti“. Dalli ha concluso chiedendo di sostenere “l’utilizzo pieno di questo strumento (la Convenzione, ndr)“, al fine di “rendere la vita delle donne europee libera dalle violenze”. La coperta è lunga: a febbraio i voti favorevoli erano stati 469, 104 i contrari e 55 gli astenuti. Domani si vedrà se lo è ancora.