Bruxelles – Belgio, Finlandia, Francia, Germania, ma anche Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia e Spagna. Nove in tutto i Paesi Ue che oggi (4 maggio) si sono uniti in una iniziativa per promuovere il voto a maggioranza qualificata in politica estera e di sicurezza comune (Pesc), dove invece ora gli Stati membri al Consiglio Ue deliberano all’unanimità.
L’obiettivo del ‘Gruppo di amici del voto a maggioranza qualificata’ – così hanno deciso di chiamarsi – è di “migliorare l’efficacia e la rapidità del nostro processo decisionale in politica estera. Sullo sfondo della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e delle crescenti sfide internazionali che l’Ue sta affrontando, i membri del gruppo sono convinti che la politica estera dell’Ue necessiti di processi e procedure adeguati al fine di rafforzare l’Ue come attore di politica estera. Anche un migliore processo decisionale e’ fondamentale per preparare l’Ue al futuro”, si legge nella dichiarazione congiunta siglata dalle nove Capitali.
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“Il gruppo mira a compiere progressi nel miglioramento del processo decisionale nell’ambito della Pesc in modo pragmatico, concentrandosi su misure pratiche concrete e basandosi sulle disposizioni già previste dal trattato sull’Unione europea. I membri hanno convenuto di fare regolarmente il punto e hanno sottolineato la necessità di lavorare a stretto contatto con tutti gli Stati membri dell’Unione europea, nonché di coordinarsi con le istituzioni dell’Ue. Tutti gli Stati membri dell’Ue che desiderano compiere progressi nel processo decisionale in materia di politica estera e di sicurezza comune, in particolare il maggiore ricorso al voto a maggioranza qualificata, e fatto salvo un dibattito più ampio sul voto a maggioranza qualificata in altri settori politici, sono invitati a far parte del gruppo”, si legge ancora nella nota.
La maggioranza qualificata in Consiglio è la modalità di voto più usata (circa l’80 per cento della legislazione) e si raggiunge quando vengono soddisfatte contemporaneamente due condizioni: quando il 55 per cento degli Stati membri vota a favore (ovvero, 15 Paesi su 27) e quando gli Stati che votano a favore rappresentano almeno il 65 per cento della popolazione totale dell’Ue). Le materie in cui rimane la procedura di voto all’unanimità sono quelle considerate più “sensibili” per gli Stati membri: in politica estera e di sicurezza comune (esclusi alcuni casi ben definiti che richiedono la maggioranza qualificata, come la nomina di un rappresentante speciale); cittadinanza (concessione di nuovi diritti ai cittadini Ue); il processo di adesione all’Unione europea; l’armonizzazione della legislazione nazionale in materia di imposte indirette; tutta la materia finanziaria (risorse proprie, quadro finanziario pluriennale) e alcune disposizioni in materia di giustizia e affari interni (Procura europea, diritto di famiglia, cooperazione di polizia a livello operativo) oltre che l’armonizzazione della legislazione nazionale in materia di sicurezza sociale e protezione sociale.
Superare l’unanimità nel futuro dell’Europa
Unione Europea più unita, Ue più decisa e più rapida nelle sue decisioni per contare di più anche sullo scacchiere internazionale. Di superare il voto all’unanimità si è tornato a discutere a Bruxelles con insistenza da qualche anno, parlando della necessità per l’Unione Europea di superare la modalità di voto in alcune materie della politica europea in cui oggi è difficile adottare decisioni rapide, dalla politica estera, allo stato di diritto e di difesa alle sanzioni. Tema più attuale che mai negli ultimi 12 mesi in cui l’Ue ha varato – in alcuni casi con non poche difficoltà – dieci pacchetti di misure restrittive contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina.
Nonostante l’unità senza precedenti dimostrata dall’Unione europea nel momento di prendere decisioni sulle sanzioni alla Russia, in questi mesi non sono mancati momenti di tensioni e di fratture. L’Ungheria, in particolare, ha sfruttato il potere dell’unanimità per tenere in ostaggio accordi cruciali e ottenere delle esenzioni, come per l’embargo sulle importazioni di petrolio russo. Ma complici la Conferenza sul futuro dell’Europa e la guerra in Ucraina, il dibattito su voto all’unanimità e a maggioranza qualificata sta prendendo sempre più piede a Bruxelles, trainato ormai da Paesi dal peso politico della Germania e della Francia, insieme anche all’Italia e alla Spagna (che dal primo luglio sarà alla guida semestrale del Consiglio Ue).
A sposare pubblicamente e in più occasioni la causa, anche la stessa presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che proprio all’evento di chiusura della Conferenza sul futuro dell’Europa il 9 maggio di un anno fa aveva affermato che il voto all’unanimità in alcuni settori chiave “non ha più senso, se vogliamo agire più velocemente. L’Europa dovrebbe anche svolgere un ruolo maggiore nella salute o nella difesa”. Il nodo (oltre che il paradosso) è sempre stato che per superare il voto all’unanimità è necessaria l’unanimità dei governi, attraverso una vera riforma dei Trattati.