Bruxelles – Le politiche del governo di Viktor Orbán si iniziano a scontrare con lo scoglio più duro. Quello dei soldi e dei vincoli per la loro erogazione. Perché l’Ungheria, senza i finanziamenti dal budget dell’Unione Europea, difficilmente può continuare a funzionare e il primo ministro che da anni sfida il sistema dell’Unione basato sui diritti fondamentali e lo Stato di diritto ne è perfettamente consapevole. Come specificano funzionari europei, sono quasi 30 miliardi di euro – 28,6 miliardi per la precisione – i fondi Ue destinati all’Ungheria ma al momento congelati. E lo rimarranno fino a quando Budapest non avrà intrapreso seriamente la strada dell’indipendenza giudiziaria e del rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
In questi giorni si è tornati a parlare dei fondi del budget pluriennale 2021-2027 a cui l’Ungheria non può avere accesso perché l’Országgyűlés, l’Assemblea nazionale, ha dato il via libera ieri (3 maggio) alla riforma giudiziaria che prevede di rafforzare l’indipendenza della magistratura attraverso un’autorità di controllo sull’operato dei tribunali, della Corte Suprema e della Corte Costituzionale. Nonostante a livello politico Orbán abbia tutti gli interessi a tenere alta la tensione con Bruxelles per legittimare le proprie politiche liberticide, quando si arriva alla resa dei conti il premier ungherese è sempre disposto a ritrattare. Era successo a settembre 2022 con la rinuncia a formare una minoranza di blocco in Consiglio sul meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto contro l’Ungheria, succede a distanza di otto mesi con le riforme del sistema giudiziario per sbloccare i fondi della politica di coesione (22,6 miliardi), per gli Affari interni (223 milioni) e del Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi).
Come rendono noto gli stessi funzionari, a Bruxelles si stanno seguendo tre strade che procedono “in parallelo”, ognuna con la sua procedura “specifica”. Una considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”. Dopo le discussioni a livello tecnico progredite in modo “positivo” negli ultimi mesi tra Commissione e Ungheria, la legge approvata dal Parlamento nazionale sembra essere indirizzata a implementare gli obiettivi fissati dall’esecutivo comunitario. Anche se le fonti mettono in guardia sul fatto che “dobbiamo ancora conoscere i passaggi che renderanno operativa la legge“, dopo la sua entrata in vigore il prossimo primo giugno.
E poi si entra nel complicato mondo dei fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022. E questa è la seconda strada intrapresa a Bruxelles, che segue una procedura a sé stante. Si tratta nello specifico del 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi (legati alla terza procedura), più di 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – vale a dire le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria di Orbán: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (l’ormai celebre legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. Come precisano i funzionari europei la prima questione è responsabile per lo stallo del “3 per cento del budget della politica di coesione” (cioè 678 milioni), la secondo del “9 per cento” (oltre 2 miliardi) e la terza di un altro “3 per cento” (678 milioni). Un 15 per cento complessivamente, appunto 3,4 miliardi. Per sbloccare questi fondi non basterà mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un prerequisito), ma dovranno essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali (per esempio le potenziali violazioni dei diritti umani). I restanti 12,9 miliardi sono invece vincolanti all’implementazione delle riforme giudiziarie e teoricamente potrebbero essere sbloccati dopo il primo giugno: dopo la richiesta di revisione del rispetto delle condizioni abilitanti, la Commissione ha tre mesi per rispondere.
Le fonti a Bruxelles mettono in chiaro che le azioni riparatorie dell’Ungheria “possono impattare tutte e tre le procedure se rispettano le stesse condizioni comuni”, come per esempio l’indipendenza del sistema giudiziario, ma in alcuni casi ci sono anche altri vincoli (altre condizioni abilitanti orizzontali, o i 27 “super-obiettivi” per il Pnrr, o le 17 riforme richieste per risolvere il procedimento avviato con il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto). C’è poi da considerare altri 223 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni, come reso noto alcuni mesi fa da fonti interne all’esecutivo comunitario a Eunews: 69,8 dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf). E il conto arriva a quei 28,6 miliardi di euro a cui Budapest sta disperatamente tentando di accedere.