Bruxelles – Intenzioni e programmi ci sono, così come i progressi. Ma l’Italia dell’informatica sui banchi di scuola non è da pieni voti. Perché se ci sono strumenti, mancano connessioni e competenze. La pagella della Corte di conti dell’Ue sulla scuola digitale nazionale non è delle migliori, e inchioda il sistema Paese ai suoi ritardi strutturali e ancor più infrastrutturali. Il rapporto sui fondi Ue per la digitalizzazione delle scuole parla chiaro. “In Grecia e in Italia, la bassa velocità di connessione e le reti inadeguate negli edifici scolastici hanno impedito a molte scuole di utilizzare al meglio le apparecchiature finanziate”. L’Italia continua ad avere, in sostanza, un problema con la banda larga e internet veloce. E non solo.
Emerge dalle verifiche dei revisori dei conti un problema di utilizzo delle risorse comunitarie. Per il periodo 2014-2020 sotto esame, e in particolare i programmi della politica di coesione, l’Italia ha sostenuto principalmente l’acquisto di apparecchiature digitali per i laboratori informatici nelle scuole e la formazione degli insegnanti in materia di competenze digitali. Ma l’assenza di banda larga ha reso meno efficiente il tutto. Anche perché, nonostante l’organizzazione di appositi corsi di aggiornamento e formazione professionale, “solo una percentuale comparativamente bassa di tutti i docenti” è stata coinvolta. Di conseguenza, “la maggior parte delle scuole che ha risposto all’indagine della Corte ha affermato di ritenere ancora estremamente necessario che i docenti acquisissero competenze e sicurezza nell’uso delle tecnologie digitali”.
L’Italia non resta a guardare, eppure resta al palo e rischia di restarci ancora. Perché nonostante “il significativo aumento” del numero di edifici scolastici connessi dall’inizio del programma nel 2020 che la Corte dei conti Ue riconosce, si osservano “notevoli ritardi” nell’attuazione del programma in alcune regioni, “il che mette a rischio il raggiungimento dell’obiettivo per il 2025 per l’intero territorio nazionale”.
Serve un cambio di passo, e in tal senso gli interventi per la transizione digitale richiama l’attenzione anche sulla necessità di dare seguito al programma di riforme previsto dal piano di ripresa (Pnrr). A proposito di Pnrr, l’investimento totale programmato in Italia include anche 41 milioni di euro di Iva, che è un’entrata nazionale e non un costo sostenuto dallo Stato membro. Le verifiche ex ante condotte dalla Commissione sulle stime dei costi per questa misura durante i negoziati per il Pnrr non avevano rilevato l’inclusione dell’Iva.