Bruxelles – Un fine settimana di lavoro intenso a livello diplomatico e sul terreno per evacuare la delegazione Ue in Sudan e gli altri cittadini comunitari dal Paese scivolato ormai in una guerra civile. “È stata un’operazione complessa, ma di successo, 21 persone sono già in Europa e molti altri sono fuori dal Sudan“, ha sottolineato alla stampa l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, facendo ingresso questa mattina (24 aprile) al Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo. Si parla di “più di un migliaio di persone” in totale, evacuate grazie agli “sforzi combinati di diversi Paesi, in particolare della Francia”, dopo essere rimaste bloccate nella capitale Khartum e in altre città sudanesi per tutta la prima settimana di scontri armati tra l’esercito regolare e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (Rsf).
La notizia dell’evacuazione della delegazione Ue in Sudan e di tutti i cittadini comunitari che volessero abbandonare il Paese in guerra è arrivata nella serata di ieri (23 aprile) dallo stesso alto rappresentante Borrell. In un tweet ha ringraziato l’Eliseo “per aver reso possibile tutto questo, con l’aiuto di Gibuti”, specificando che anche l’ambasciatore Ue Aidan O’Hara – aggredito la scorsa settimana nella sua residenza – è stato evacuato dal Paese in guerra. In Suda è rimasto solo “il capo della sicurezza, ma non a Khartum”, ha precisato lo stesso Borrell, rettificando quanto precedentemente affermato sul fatto che l’ambasciatore Ue avrebbe continuato il lavoro nel Paese in guerra. Le operazioni militari sono state coordinate dall’esercito francese in collaborazione con diversi Paesi europei e non – tra cui anche l’Italia – e sono state complicate dal fatto che l’aeroporto internazionale della capitale è stato reso inagibile dai nove giorni di bombardamenti e scontri armati. Tutti i cittadini sono stati scortati da convogli militari fuori da Khartum e gli 11 voli militari sono partiti dall’aeroporto di Wadi Sednia, a una ventina di chilometri dalla capitale sudanese, con altri 20 previsti per la giornata di oggi.
“Non possiamo permettere che il Sudan imploda, perché avrebbe un’onda d’urto in tutta l’Africa“, ha avvertito l’alto rappresentante Borrell, rendendo noto di aver parlato sia con il generale Abdel Fattah al-Burhan (capo dell’esercito regolare del Sudan e dal 2021 anche presidente del Paese), sia con il generale Mohamed Hamdan Dagalo (leader delle forze paramilitari e vicepresidente del Sudan), “sollecitando un cessate il fuoco immediato” e insistendo sulla “necessità di proteggere i civili”. Anche il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ha ringraziato Francia e Gibuti per il coordinamento delle operazioni, oltre all’alto rappresentante Ue e ai diplomatici europei “per il loro impegno costante e la loro capacità di recupero”.
Cosa sta succedendo in Sudan
L’esplosione delle violenze nella capitale Khartum e nel resto del Paese è iniziata lo scorso 15 aprile. A fronteggiarsi sono l’esercito regolare del Sudan e le forze paramilitari composte da 100 mila membri. L’esercito ha il controllo dell’aviazione e sta bombardando le basi Rsf, che a loro volta sta facendo largo uso di artiglieria nei centri abitati. I paramilitari hanno chiesto ripetutamente un cessate il fuoco temporaneo in occasione dell’Eid al-Fitr (la festività della religione islamica che segna la fine del Ramadan), ma il presidente al-Burhan al momento ha rifiutato qualsiasi contatto per sedersi al tavolo dei negoziati.
Due anni fa, nell’ottobre del 2021, i generali al-Burhan e Dagalo avevano unito le forze per rovesciare il breve governo democraticamente eletto di Abdalla Hamdok e instaurare una dittatura militare. Lo stesso al-Burhan è stato in precedenza a capo del Consiglio sovrano del Sudan, l’organo che nel 2019 aveva preso il posto del Consiglio militare di transizione dopo la deposizione del dittatore Omar al-Bashir (in carica dal 1993). I due generali avevano promesso di continuare la transizione democratica fino alle elezioni previste per il 2023, governando attraverso il Consiglio Sovrano. L’alleanza è durata fino a dicembre del 2022, quando le pressioni internazionali hanno spinto la giunta militare a restituire il potere a un’amministrazione civile e sciogliere le Rsf per integrarle all’interno dell’esercito regolare. Dagalo si è opposto e gli scontri prima politici si sono trasformati da qualche giorno in violenti combattimenti armati.
Le Rsf sono la derivazione diretta dei Janjawid, i miliziani di etnia araba che nel corso della guerra del Darfur (iniziata nel 2003) hanno preso parte al genocidio nell’area occidentale del Paese: in quel momento Dagalo era a capo dei Janjawid ed è stato accusato di crimini contro l’umanità. Anche i vertici dell’esercito regolare, di cui al-Burhan è principale esponente, sono stati accusati di genocidio nel Darfur. Dopo la guerra le Rsf si sono trasformate autonomamente in un esercito di frontiera, senza perdere potere militare e senza mai farsi assorbire nelle strutture statali. La Cnn ha anche riportato di un supporto militare da parte del gruppo mercenario russo Wagner e di finanziamenti reiterati da parte del generale libico Khalifa Haftar nei mesi precedenti allo scoppio della guerra.