Bruxelles – Ormai è “normalizzazione delle morti” nel Mediterraneo, quando normale non dovrebbe essere. Eppure le 441 persone migranti che hanno perso la vita in mare nei primi tre mesi di questo tragico 2023, sembrano ormai solo un numero che va a sommarsi al bilancio totale, oltre 20 mila morti documentate dal 2014 a oggi dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) sulla traversata che dalle coste libiche e tunisine arriva ai mari siciliani.
Chi ha palesato il timore che “queste morti si siano normalizzate” non è una persona qualunque, ma António Vitorino, che dell’Oim è il direttore generale. Commentando l’ultima relazione pubblicata dal Missing Migrants Project dell’organizzazione, Vitorino ha definito “intollerabile” la persistente crisi umanitaria nel Mediterraneo centrale e ha strigliato i governi che a Bruxelles da anni promettono soluzioni ancora tutte da trovare. “Gli Stati devono rispondere, ritardi e lacune nelle operazioni di ricerca e soccorso (Sar) stanno costando vite umane”, il rimprovero del numero uno dell’Oim.
Era dal 2017 che non si assisteva a una tragedia di queste proporzioni: nei primi tre mesi di quell’anno, chiuso con 2.853 vittime di naufragi nel Mediterraneo, le morti erano state addirittura 742. Per lo meno quelle registrate dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni: perché i decessi documentati sono “probabilmente una sottostima del numero reale“, difficile da svelare a causa di diverse segnalazioni di naufragi invisibili, “casi in cui le barche sono dichiarate disperse, dove non ci sono registrazioni di sopravvissuti, resti o operazioni Sar”. La triste conta delle vittime, come sottolineato anche dagli ultimi dati di Frontex, va inquadrata in un contesto di rinnovata “emergenza sbarchi”: già 27.651 il numero degli arrivi in Italia in questo primo spicchio di 2023, a cui vanno ne vanno aggiunti tremila soltanto durante il finesettimana pasquale.
Ritardi nei soccorsi e ostacoli alle Ong tra i fattori degli incidenti nel Mediterraneo
I fattori co-scatenanti indicati dal rapporto accendono i riflettori sulla strategia del governo Meloni, affermatasi anche nel corso del Consiglio europeo straordinario del 9-10 febbraio scorso, che tratta il fenomeno migratorio più come una questione di sicurezza alle frontiere che come un’emergenza umanitaria. “Ritardi nelle risposte di soccorso guidato dagli Stati e ostacoli alle operazione Sar delle navi delle Ong” avrebbero causato “almeno sei incidenti quest’anno che hanno provocato la morte di almeno 127 persone”, mentre la “totale assenza di risposta a un settimo caso ha causato la morte di almeno 73 migranti”. Gli esperti dell’Oim elencano poi, a supporto della loro tesi, i casi in cui le autorità italiane hanno sottoposto a fermo amministrativo le imbarcazioni delle associazioni umanitarie, responsabili di aver infranto il decreto Ong varato dal governo nel mese di febbraio: la Louise Michel, finanziata dall’artista Banksy, e la Geo Barents di Medici Senza Frontiere, gli ultimi casi a fine marzo.
Per l’Oim, con cui l’Unione Europea lavora a stretto contatto da anni, i Paesi membri devono “porre fine alla criminalizzazione, all’ostruzione e alla deterrenza degli sforzi di coloro che forniscono assistenza”. All’opposto rispetto a chi accusa le ong di collusione con gli scafisti, “gli sforzi degli Stati per salvare vite umane devono includere il sostegno alle Ong“. Il direttore generale Vitorino ha lanciato un appello a Bruxelles, da cui i portavoce della Commissione europea ripetono come un mantra che “salvare vite in mare è un obbligo legale per gli Stati membri” e che tuttavia l’Unione non ha competenze in materia di ricerca e soccorso: “Abbiamo bisogno di vedere un coordinamento pro-attivo“, avverte il leader dell’Oim. Un coordinamento “dedicato, prevedibile”, che metta fine alle risposte “caso per caso”, che hanno caratterizzato le tragiche vicende del Mediterraneo dall’interruzione di Mare Nostrum a oggi.