Bruxelles – Le ambizioni, alle volte, crollano. Nella narrativa comune del processo legislativo comunitario il Parlamento Europeo solitamente è visto come il co-legislatore più ambizioso e a tratti utopista, mentre il Consiglio dell’Ue (che riunisce i governi dei 27 Paesi membri) come quello più intransigente, che annacqua o cerca di imporre obiettivi a ribasso rispetto alle proposte della Commissione. Solitamente va così, ma per quanto riguarda il Patto migrazione e asilo le cose stanno andando in modo insolito. Perché i compromessi adottati oggi (28 marzo) dagli stessi eurodeputati per dare il primo via libera a quattro dei nove dossier che compongono il Patto del 2020 indica che, già in questa fase iniziale del processo negoziale, l’ambizione di raggiungere un’intesa improntata su più solidarietà e accoglienza in materia di migrazione e asilo è quasi tramontata.
È proprio la questione della solidarietà tra Paesi membri che rivela le difficoltà del Parlamento Europeo a superare gli scogli della divisione per nazionalità e per colore politico sul Patto migrazione e asilo. Perché nella posizione concordata sul nuovo Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione, non c’è alcun superamento del principio cardine del Regolamento di Dublino del 2013, vale a dire il fatto che il compito di esaminare la richiesta di asilo di una persona che fa ingresso in modo irregolare sul territorio comunitario spetta al primo Stato membro Ue a cui accede. Il relatore Tomas Tobé (Ppe) ha parlato di “contributi solidali, per un meccanismo prevedibile e sostenibile”. Se da una parte c’è un passo in avanti nella condivisione obbligatoria degli sforzi tra tutti i Ventisette – con un “80 per cento di trasferimenti e 20 per cento di sviluppo delle capacità” nel complesso, emendata invece la terza opzione proposta dalla Commissione sulla “sponsorizzazione” dei rimpatri nei Paesi terzi d’origine – il problema principale riguarda i numeri dei trasferimenti. Proprio come nel Meccanismo di solidarietà volontaria stabilito nel giugno dello scorso anno in maniera autonoma dagli Stati membri – che da allora ha permesso di effettuare solo 524 trasferimenti – il Regolamento non chiarisce quante persone saranno interessate, né come dato assoluto né come percentuale di arrivi: un conto è parlare di mille persone in un anno, un altro di centomila.
Grande enfasi è stata posta da Juan Fernando López Aguilar (S&D), relatore per il Regolamento per le crisi e le cause di forza maggiore, sulla questione dei trasferimenti di persone migranti dai Paesi di primo approdo. Ma il riferimento è a un Regolamento che fonti vicine al dossier (che preferiscono rimanere anonime) hanno confessato a Eunews rischierà di essere demolito durante i negoziati con il Consiglio. “Si tratta di uno scenario ultimo, quando si verifica un arrivo inaspettato e massiccio di persone soprattutto dopo le attività di ricerca e soccorso in mare“, ha voluto sottolineare lo stesso eurodeputato spagnolo. È vero che in caso di attivazione del meccanismo di crisi scatterà la solidarietà obbligatoria tra Paesi membri, ma spetta comunque alla Commissione Ue definire quando una crisi è considerata tale e merita di mettere a disposizione “strumenti per aiutare lo Stato membro interessato” con un atto delegato. E i presupposti non sono i più rassicuranti: sono serviti 21 anni e un’aggressione armata russa in Ucraina per attivare lo scorso anno la Direttiva europea sulla protezione temporanea – quella che stabilisce uno status di protezione di gruppo in “situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo” – quando nemmeno la crisi umanitaria in Afghanistan nel 2021 l’aveva sbloccata. L’emendamento principale degli eurodeputati riguarda però proprio il mantenimento della Direttiva sulla protezione alla proposta della Commissione Ue.
L’ultima questione problematica nella posizione del Parlamento Europeo sui quattro file del Patto migrazione e asilo riguarda le modalità di ricezione delle persone che arrivano alle frontiere esterne dell’Ue, all’interno di un quadro piuttosto sbilanciato sugli obblighi per i Paesi di primo arrivo rispetto alla solidarietà richiesta agli altri membri Ue, come rimarcano le stesse fonti. Secondo quanto stabilito nel compromesso a firma Birgit Sippel (S&D) a tutte le persone migranti si applicherà il Regolamento sullo screening, che prevede identificazione, rilevamento delle impronte digitali, controlli di sicurezza e valutazione preliminare della salute entro cinque giorni dall’arrivo. A quel punto potrebbero essere sottoposte a quanto previsto dal Regolamento modificato sulle procedure di asilo, la cui relatrice Fabienne Keller (Renew Europe) ha voluto sottolineare che “renderà più rapido e semplificato la richiesta di asilo”. L’applicazione della procedura di frontiera non è obbligatoria, come previsto dalla proposta della Commissione, ma volontaria da parte degli Stati membri, che potrebbero estendere l’uso della detenzione (più o meno esplicita, come nel caso del divieto di “entrare nel territorio dello Stato membro”, nonostante per fare richiesta di protezione internazionale si è già fisicamente sul territorio nazionale) e dell’erosione di garanzie procedurali come il diritto al ricorso: saranno concessi solo sette giorni lavorativi per presentarlo e potrebbe essere messa in atto l’espulsione dal territorio nazionale prima ancora che arrivi l’esito del ricorso stesso.
A che punto è il processo negoziale sul Patto migrazione e asilo
Da un punto di vista prettamente legislativo, il processo negoziale prevede ora che il Parlamento Europeo dia il via libera in sessione plenaria alla propria posizione su tre dossier: Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione, Regolamento sullo screening e Regolamento per le crisi e le cause di forza maggiore. Sul Regolamento modificato sulle procedure di asilo si potrebbe passare subito al trilogo, ma il Consiglio dell’Ue non ha ancora adottato la propria posizione. All’Eurocamera mancano ora all’appello la Direttiva sui rimpatri della relatrice Tineke Strik (Verdi/Ale).
Il Consiglio dell’Ue ha già adottato la propria posizione sul Regolamento sullo screening e sulla Direttiva sui rimpatri. I negoziati tra i Ventisette non hanno invece trovato ancora uno sbocco su tre Regolamenti: quello per la gestione dell’asilo e della migrazione, quello modificato sulle procedure di asilo e quello per le crisi e le cause di forza maggiore. In fase di trilogo c’è il Regolamento Eurodac modificato dal 15 dicembre dello scorso anno, lo stesso giorno in cui è stato raggiunto l’accordo politico su tre dossier del Patto migrazione e asilo (ereditati dai negoziati sulle proposte della Commissione del 2016): la Direttiva sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, il Regolamento sul nuovo quadro di reinsediamento e il Regolamento sulle qualifiche.
Al di fuori dei nove dossier previsti dalla tabella di marcia concordata a settembre per adottare il Patto migrazione e asilo entro la fine della legislatura (nella primavera 2024) ci sono altre cinque dossier: l’istituzione dell’Agenzia europea per l’asilo (Euaa), la Direttiva blue card, il Regolamento sulla strumentalizzazione nel campo della migrazione e dell’asilo, la Direttiva modificata sui soggiorni di lungo termine e la Direttiva modificata sulla procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro. Di questi, solo i primi due sono stati adottati: la Direttiva Blue Card nel maggio 2021, mentre l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) da gennaio è stato trasformato in un’agenzia indipendente a tutti gli effetti.