Di Arianna Remoli, Davide Zanella, Bruno Toscano, Benedetta Irrera
Lo Euromedia Ownership Monitor (EurOMo) ha reso disponibile in rete il suo progetto di monitoraggio e controllo dei media d’informazione, sul sito https://media-ownership.eu/.
Attualmente sono disponibili i dati relativi a 15 paesi dell’Unione e le rispettive aziende più influenti, sia a livello regionale che nazionale. Lo scopo del progetto, è di analizzare e controllare il grado di trasparenza mediatico, così da facilitare il monitoraggio delle concentrazioni dei gruppi aziendali e favorire un’informazione più sicura.
Il progetto è co-finanziato dalla Commissione Europea a guida Ursula von der Leyen come parte dell’European democracy Action Plan presentato il 3 dicembre 2020. L’obiettivo del Piano d’azione è, tra le altre cose, rafforzare la libertà e il pluralismo dei mezzi di informazione e lottare contro la disinformazione. La Commissione ha dichiarato di proporre atti giuridici in materia di pubblicità politica, e l’istituzione dell’osservatorio di cui abbiamo parlato oggi. Il presente piano d’azione per la democrazia europea, sarà un elemento chiave del nuovo impulso per consentire alla democrazia europea di affrontare le sfide dell’era digitale.
Per la realizzazione del progetto è stato coinvolto un consorzio di 15 istituti d’istruzione, coordinati dall’università di Salisburgo e tra i quali La Sapienza di Roma, che ha potuto raccogliere e lavorare sui dati resi pubblicamente disponibili da parte delle aziende dei paesi interessati: Austria, Belgio, Repubblica ceca, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Lituania, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia. Tuttavia l’intenzione è quella di raggiungere tutti gli stati dell’Unione entro settembre 2023.
Nel sito è possibile trovare una sezione dedicata all’analisi della situazione mediatica dei quindici paesi coinvolti. Tra questi, come abbiamo già detto, è presente l’Italia di cui sono state analizzate 18 testate (8 canali TV, 6 testate cartacee, 4 digitali) sulla base dei criteri di market share, impact revenues, audience share e univocità politico-istituzionali.
La popolazione italiana sceglie come principale mezzo d’informazione la televisione, anche se dopo la pandemia di Covid-19 ha perso il primato a favore delle fonti web e social network. La carta stampata dopo essere stata la protagonista indiscussa, dalla sua nascita fino alla metà del ‘900, adesso vive un periodo di crisi soprattutto dopo l’avvento del web.
Una peculiarità italiana è che i grandi gruppi mediatici appartengono spesso a importanti famiglie di imprenditori. Il gruppo editoriale Gedi, legato alla famiglia Agnelli, e Fininvest, la media company fondata da Silvio Berlusconi, sono i due esempi più lampanti di questa tendenza. Proprio per questa particolarità che caratterizza le proprietà dei media italiani, viene definita “scatola cinese” in cui una holding controlla più società.
Parlando del settore televisivo, abbiamo gli storici canali 1, 2, 3 appartenenti al servizio pubblico di radiodiffusione RAI. Seguono Italia 1, Rete 4 e Canale 5 della società privata Mediaset.
Sebbene in termini di share i numeri siano inferiori, al terzo posto troviamo LA7 di proprietà di Cairo Communication. L’ultimo canale televisivo preso in considerazione è SkyTg24 del gruppo Comcast.
Per quanto riguarda la stampa, i primi ad essere presi in considerazione sono Repubblica (Gedi) e Il Corriere Della Sera (Cairo/RCS). Accanto a questi vi sono casi di affiliazioni come Il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, Il Sole 24Ore di proprietà di Confindustria e Avvenire, quotidiano cattolico legato alla Conferenza Episcopale Italiana.