Bruxelles – Una raccomandazione al momento adottata solo a livello di principio, “ma presto anche in modo formale”, che riporta al centro del dibattito sulla gestione della migrazione la questione della detenzione di persone migranti in attesa di rimpatrio, dopo il rigetto della propria domanda di asilo. In vista del Consiglio Europeo del prossimo 23-24 marzo, la Commissione Ue rimette sul tavolo un tema particolarmente delicato, all’interno di un documento pensato per spingere i Ventisette a un “approccio globale” non solo sul riconoscimento reciproco delle decisioni di rimpatrio, ma anche sugli “strumenti chiave per valutare e prevenire il rischio di fuga“.
Tra le iniziative presentate ieri (14 marzo) dall’esecutivo comunitario sulla gestione delle frontiere comuni e i rimpatri risalta anche la definizione degli step per “istituire un processo snello e coordinato”, proprio a partire dai “criteri oggettivi” per valutare l’esistenza del rischio di fuga “in ogni singolo caso”. In questo piano rientra anche l’implementazione di “alternative efficaci alla detenzione” in risposta ai “diversi livelli di rischio di fuga e alle circostanze individuali”, considerato il fatto che il trattenimento dovrebbe essere una “misura di ultima istanza e per un periodo il più breve possibile“, specifica la Commissione Ue nella raccomandazione. In ogni caso gli Stati membri “devono garantire che la capacità di trattenimento sia in linea con le esigenze effettive”, sia tenendo conto del numero di cittadini di Paesi terzi “in posizione irregolare soggetti a una decisione di rimpatrio” sia di quello stimato “che si prevede di rimpatriare nel medio termine”.
Nella “ampia gamma di alternative” al trattenimento per prevenire la fuga di persone migranti il cui soggiorno è irregolare, il gabinetto von der Leyen suggerisce “misure efficaci ma meno coercitive della detenzione”. Tra queste compaiono l’obbligo di firma “da ogni 24 ore a una volta alla settimana”, l’obbligo di consegna del passaporto, del documento di viaggio o d’identità, l’obbligo di residenza “in un luogo designato dalle autorità” (residenza privata o centro dedicato), il deposito di una “adeguata” garanzia finanziaria e l’uso di “tecnologie innovative”, vale a dire la sorveglianza elettronica.
La base legale Ue per la detenzione di migranti “a rischio fuga”
Il riferimento legale a cui si richiama la raccomandazione della Commissione è la direttiva sulle norme e procedure comuni negli Stati membri per il rimpatrio di cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare (comunemente conosciuta come direttiva rimpatri) del 2008, in cui viene definito in quali casi sia prevista la detenzione. L’articolo 15 specifica che non devono sussistere le condizioni per applicare “efficacemente altre misure sufficienti ma meno coercitive” e che la detenzione può avvenire “solo per preparare il rimpatrio” quando sussiste “il rischio di fuga” o quando la stessa persona migrante “evita o ostacola la preparazione del rimpatrio”.
Il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative o giudiziarie, per iscritto, motivato “in fatto e in diritto” e “il più breve possibile” in termini temporali. Nella pratica si tratta di un periodo che non può superare i sei mesi e che può essere prorogato per un massimo di un ulteriore anno nel caso di “mancanza di cooperazione” da parte della persona interessata o di ritardi nell’ottenimento della documentazione necessaria dal Paese terzo. Nel caso in cui non esista più “una prospettiva ragionevole di allontanamento” per motivi giuridici, il rilascio deve essere immediato. Per quanto riguarda le condizioni di detenzione, l’articolo 16 della direttiva mette in chiaro che la detenzione deve avvenire in “strutture specializzate”, o in carcere (se lo Stato membro non è in grado di fornire centri ad hoc) ma comunque “separati dai detenuti comuni”. È fatto salvo il diritto di stabilire contatti con rappresentanti legali e autorità consolari, ma anche con familiari e organizzazioni internazionali, così come l’assistenza sanitaria d’emergenza e di base.
La raccomandazione della Commissione Ue sembra però anche un tentativo di rispondere sul breve e medio termine alle difficoltà riscontrate a livello negoziale tra Parlamento e Consiglio dell’Ue sulla revisione della direttiva rimpatri, come previsto dal dossier specifico nel Patto migrazione e asilo, ereditato dalla proposta del 2018. A proposito del “rischio di fuga”, la Commissione Ue ha evidenziato una “forte esigenza” di stabilire criteri obiettivi a livello Ue per determinare l’esistenza o meno di un rischio effettivo, “compresi i movimenti secondari non autorizzati”. Proprio per impedire interpretazioni “divergenti o inefficaci”, la proposta di revisione della direttiva del 2008 stabilisce una lista aperta, “non esaustiva”, di criteri di valutazione: mancanza di documenti che certifichino l’identità personale, di domicilio o indirizzo affidabile e di risorse finanziare, ingresso irregolare sul territorio nazionale, spostamento non autorizzato verso un altro Stato membro Ue (in particolare in presenza di una decisione di rimpatrio), inosservanza della decisione di rimpatrio o dichiarazione “esplicita” dell’intenzione di non rispettarla, mancanza di cooperazione con le autorità e presenza di indagini o condanne penali. Se questi criteri vanno considerati complessivamente nei singoli casi specifici, si può invece presumere il rischio di fuga nel caso se ne verifichi anche solo uno tra l’uso di documenti d’identità falsi o contraffatti, rifiuto di fornire le impronte digitali, opposizione violenta al rimpatrio, non osservanza delle misure alternative alla detenzione o di un divieto d’ingresso in vigore.