Bruxelles – L’ennesimo sgombero, il secondo in meno di un mese, senza aver messo in campo nessuna soluzione sostenibile sul breve e medio periodo. A Bruxelles, capitale del Belgio, sede istituzionale di un’Unione Europea che ogni giorno discute, litiga e promette un approccio risolutorio per la gestione comune del fenomeno migratorio, è in corso una crisi di accoglienza delle persone che hanno diritto a un tetto sopra la testa che sta assumendo tratti inaccettabili per una società europea.
Nella giornata di ieri (7 marzo) le forze di polizia hanno sgomberato la fila di tende e rifugi di fortuna che da mesi si era creata lungo il canale di Molenbeek, a poche centinaia di metri dal centro di Bruxelles, davanti al centro di registrazione dei richiedenti asilo Petit Château della Fedasil, l’agenzia federale che si occupa dell’accoglienza in Belgio. L’operazione di polizia, condotta in collaborazione tra il Comune di Molenbeek, la Regione di Bruxelles e il governo federale, è stata effettuata senza preavviso, permettendo alle persone che comparivano sulla lista di evacuazione di portare con sé i propri effetti personali, prima di demolire la tendopoli lungo il canale. Su circa 200 persone inserite nella lista, 140 sono state effettivamente portate via su autobus della Stib, la società di trasporto pubblico di Bruxelles, mentre chi non si trovava presso il canale di Molenbeek durante le operazioni di sgombero è rimasto senza un riparo.
Anche se la segretaria di Stato per l’Asilo e la migrazione, Nicole de Moor, ha confermato che tutte le persone sono state trasferite nei centri di accoglienza, a quanto risulta a Eunews non è proprio così. Delle 140 persone evacuate ieri 40 sono già state trasferite nei centri di Fedasil, altrettante lo potranno fare oggi, mentre le restanti 60 troveranno riparo in rifugi di emergenza per senzatetto della Regione di Bruxelles. Ma sotto la neve dell’8 marzo sono rimasti in una cinquantina senza un riparo sopra la testa, a cui si sono affiancate altre persone che non comparivano nella lista di evacuazione. Per questo motivo alcune organizzazioni della società civile si sono attivate per fornire un sostegno immediato, utilizzando come soluzione temporanea l’edificio occupato Alleedukaai, un chilometro più a nord rispetto al centro di registrazione Petit Château.
La crisi dell’accoglienza in Belgio
Le operazioni di sgombero condotte ieri dalla polizia belga rappresentano una soluzione di cortissimo raggio – e con un impatto destinato a scemare con il passare delle settimane – a una crisi di accoglienza che è ormai diventata strutturale in Belgio. Decine di persone vivevano già da mesi lungo il canale di Molenbeek, ma la maggior parte era arrivata dopo lo sgombero del Palais des droits, un edificio occupato nel quartiere di Schaerbeek, lo scorso 14 febbraio.
Prima dell’evacuazione le autorità avevano fornito ai richiedenti asilo che vivevano nella struttura un braccialetto per identificare chi avrebbe poi avuto diritto a una sistemazione più stabile mentre attendevano l’esito della richiesta di asilo, ma quasi tutti sono finiti comunque a vivere per strada – nella tendopoli davanti al Petit Château, ma non solo. Come raccontato da Mohammed e Ahmad (un uomo di 37 anni dall’Etiopia e un ragazzo di 21 anni dall’Afghanistan, entrambi sgomberati dal Palais des droits), una volta arrivati alla tendopoli di Molenbeek in modo del tutto arbitrario ad alcune persone è stato fornito un nuovo braccialetto per riconoscere chi avrebbe potuto accedere a un centro di accoglienza temporaneo dell’associazione Plateforme Citoyenne de Soutien aux Réfugiés. Ma anche in questo caso in molti sono rimasti solo con un pezzo di plastica blu in mano, continuando a vivere nell’umidità del marciapiede lungo il canale.
Il vero problema a Bruxelles e in Belgio è che le soluzioni-tampone – come gli sgomberi mentre i centri per l’accoglienza sono saturi e la risposta immediata e d’emergenza affidata quasi solo al volontariato – non possono far dimenticare una situazione al limite della violazione dei principi basilari del buon senso, dei diritti umani e della legislazione comunitaria. La direttiva Ue sulle condizioni di accoglienza del 2013 stabilisce chiaramente che tutti coloro che hanno fatto richiesta di protezione internazionale hanno diritto a “condizioni materiali di accoglienza“, compreso “alloggio, vitto e abbigliamento forniti in natura, sotto forma di sussidi economici o di buoni, o una combinazione di questi tre elementi, e un’indennità per le spese giornaliere”. Non è un caso se la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) ha emesso oltre 1.100 sentenze di condanna contro lo Stato belga per aver violato i diritti fondamentali dei richiedenti asilo e dei rifugiati nel Paese e, come emerso da un articolo di Brussels Times, le penalità che Fedasil dovrebbe pagare per non aver garantito l’accoglienza a chi ne han diritto ammontano oggi a 278,5 milioni di euro.
I numeri della crisi
Per capire le dimensioni della crisi d’accoglienza delle persone richiedenti asilo in Belgio, basta considerare i dati forniti dall’agenzia federale Fedasil. Nel 2022 sono state registrate 37 mila domande di protezione internazionale – per un aumento del 40 cento rispetto all’anno precedente – in cui il collo di bottiglia mai risolto rimane quello del numero di partenze costantemente inferiore a quello di arrivi nei centri di accoglienza. La rete ha raggiunto 34.020 posti di accoglienza (quasi 4500 in più rispetto all’inizio dello scorso), ma il tasso di occupazione è del 95 per cento, con meno di duemila posti attualmente disponibili in tutto il Paese.
È la stessa agenzia federale ad ammettere che “l’anno 2022 è stato segnato dalla saturazione della nostra rete di accoglienza“, in cui Fedasil affronta una “ricorrente carenza di posti di accoglienza”. Mentre la priorità è data ai soggetti “più vulnerabili” (famiglie, minori e donne), tutte le altre persone devono iscriversi a una lista d’attesa per poter accedere a un alloggio, mentre la propria domanda di asilo viene processata. Quello che nella pratica accade – e come i fatti hanno dimostrato tra il 14 febbraio e oggi – è che “dal 2021 i richiedenti asilo finiscono in strada per mancanza di posti” e contemporaneamente vengono sgomberati da edifici occupati e da rifugi di fortuna, con la promessa di un vero tetto sopra la testa. Che poi viene tradita, o non è garantita a tutti quelli che ne hanno diritto. E, senza soluzioni sul lungo termine, si rimane in attesa della prossima crisi di accoglienza, l’ennesima presunta crisi migratoria.