Bruxelles – Niente morti in mare, niente vivi a terra. L’Europa, su migranti e immigrazione, ha da tempo fatto le proprie scelte. Frutto anche di un diritto Ue che non riconosce la povertà economica e la ricerca di lavoro un motivo valido per richiedere protezione internazionale e di una volontà condivisa di alleviare la pressione migratorio eliminando le partenze che poi producono gli sbarchi. La soluzione è politica, perché se quanti vorrebbero protezione internazionale non arrivano, non si pone il problema della gestione. E’ vero che si potrebbero ridurre gli incidenti, ma è altrettanto vero che si condannerebbero i cittadini extracomunitari a fare i conti con le loro difficoltà.
Fin qui la logica utilizzata dall’Europa degli Stati è quella di fare in modo che i richiedenti asilo non arrivino a fare richieste in Europa, come dimostra anche l’accordo con la Turchia, pagata per farsi carico dei profughi siriani. Scelte comprensibili da un punto di vista elettorale, perché sull’immigrazione il voto si tende più a perdere che a vincere, ma miopi e semplicistiche. Senza contare che da un punto di vista umano ed etico mostrano una certa indifferenza nell’Ue che tanto sventola “valori”.
Si parte non solo per sfuggire a guerre e persecuzioni, ma ci si sposta anche per cercare condizioni di vita migliori in un mondo dove, in prospettiva, possono solo peggiorare. Ener2Crowd.com, la piattaforma italiana di lending crowdfunding ambientale ed energetico, torna ad accendere i riflettori su un fenomeno che sarà sempre più ‘la problematica’ con la ‘P’ maiuscola, quello dei migranti climatici. “Se la temperatura continua ad alzarsi il rischio è quello di ritrovarsi con 500 milioni di profughi per ogni grado in più sulla Terra”. Questo dato sui migranti climatici rappresenta “una stima realistica, considerando che già lo scorso anno si è avuto globalmente il 40 per cento di piogge in meno rispetto alla media degli ultimi 30 anni”.
Ma soprattutto, al netto dei numeri, il fenomeno è realtà. Ener2Crowd.com cita i dati delle Nazioni Unite, e ricorda che già oggi nel mondo una persona su 78 è sfollata ed in tre casi su quattro “si tratta di persone costrette ad emigrare proprio a causa dei cambiamenti climatici, con una percentuale raddoppiata rispetto a 10 anni fa”. Le partenze dei barconi non si fermerà finché ci sarà chi continua a lasciare la propria casa, e già solo questo rende insostenibile la linea sposata dai governi degli Stati dell’Ue. In totale, continua la piattaforma, “abbiamo già raggiunto il preoccupante numero di 100 milioni di profughi ambientali”. Le persone si mettono in marcia e lo faranno sempre di più, che i governi – italiano e non solo – vogliano o meno. Di questo sono consapevoli anche a Bruxelles, e molto bene.
In Parlamento europeo non mancano documenti di lavoro e analisi sull’argomento. Uno degli ultimi, datato maggio 2022. Anche qui si fa riferimento a stime dell’Onu, che suggeriscono come lo stress idrico da solo potrebbe sfollare 700 milioni di persone entro il 2030. Non sfuggono agli europarlamentari neppure i dati della Banca mondiale, secondo cui potrebbero esserci 216 milioni di migranti climatici interni entro il 2050, “a meno che non vengano intraprese azioni correttive”. Parlare di 216 milioni di persone vuol dire parlare dell’equivalente di un numero superiori alla somma delle popolazioni di Germania, Francia e Italia messe insieme. Tre Stati membri dell’Ue in movimento a causa dei cambiamenti climatici.
La conclusione dei documenti di lavoro prodotti e distribuiti nella varie commissioni parlamentari è sempre la stessa. “Si prevede che il cambiamento climatico porterà a una migrazione sempre più massiccia dalle regioni vulnerabili”. Sono queste le persone che i governi europei vorrebbero non si mettessero in marcia, ma che invece lo faranno. Se il blocco dei Ventisette vuole davvero evitare le morti in mare e nuove pressioni migratorie sulle proprie frontiere, “l’Ue deve incoraggiare uno sforzo globale per prevenire le crisi climatiche”. Vuol dire non solo attuare il Green Deal che ci si è posti, ma essere attivi a livello internazionale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e contenere il surriscaldamento del pianeta. Vuol dire riuscire nel non semplice compito di convincere Paesi come Cina o India a convertire le loro economie.
Vuol dire anche, tenere fede allo slogan “aiutiamoli a casa loro”, fin qui tradito da chi, per primo in Europa, lo ha sempre pronunciato. Ma soprattutto, e questo pure viene messo nero su bianco degli studi e delle analisi prodotte e Bruxelles, l’Unione europea deve essere pronta a “fornire aiuti umanitari a coloro che sono stati spinti via dalle loro case”. Perché sulla scia dei cambiamenti climatici ci si sposterà.
Servirà uno sforzo politico. L’Ue di oggi non sembra disposta a fare quel cambio di passo che la situazione imporrebbe. La Convenzione sui rifugiati del 1951 non riconosce lo stress climatico come motivo per richiedere lo status di rifugiato. Secondo gli esperti del Parlamento europeo “sarebbe in linea con il suo ruolo di attore principale contro il cambiamento climatico se l’Ue spingesse per il riconoscimento dello status di rifugiato climatico”. Esattamente ciò che non vuole l’attuale il governo italiano, e non solo questo. Perché un cambiamento di paradigma spingerebbe le partenze, e costringerebbe a farsi carico di uomini, donne e bambini di cui non ci si vuole fare carico.
Alla luce di dati probabilmente ancora non consolidati ma dati per assodati e scenari di sempre più sfollati climatici che da più parti sembrano ormai inevitabili, la narrativa del “bisogna fermare le partenze” è un qualcosa che non sembra (più) spendibile.