Bruxelles – Ripartire dalla società civile per impedire alla Russia di Putin di continuare a sfruttare la Bielorussia come un sostegno e uno Stato vassallo nella guerra contro l’Ucraina. Ma anche per mettere fine a generalizzazioni e discriminazioni nei confronti del popolo bielorusso (e verrebbe da estendere il ragionamento anche a quello russo) come co-belligerante al fianco del Cremlino, anche chi lotta contro il regime di Alexander Lukashenko. Con questi messaggi rivolti a Bruxelles e ai 27 Paesi membri Ue è intervenuta oggi (22 febbraio) alla sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya.
“Sono qui in questa Aula a nome del popolo bielorusso”, ha rivendicato Tsikhanouskaya, aprendo il suo discorso di fronte ai rappresentanti della società civile, dei lavoratori e dei datori di lavoro dell’Ue ed elogiandone l’operato: “È cruciale che l’Ue implementi le raccomandazioni del report sui media indipendenti in Bielorussia“, perché “siamo in un momento decisivo per l’Europa, il suo destino si decide sul campo di battaglia in Ucraina ma anche in tutte le capitali europee“. È qui che si inserisce la necessità di supportare la società civile bielorussa: “O difendiamo la democrazia, o lasciamo i dittatori vincere”, ha incalzato la presidente ad interim. Dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, “sono 1.500 i prigionieri politici in tutto il Paese e il numero cresce ogni giorno“, mentre nelle prigioni del regime di Lukashenko “vengono negati i diritti umani basilari”.
Continuando il suo intervento alla plenaria del Cese, Tsikhanouskaya ha ricordato come “nel suo disperato tentativo di rimanere al potere, Lukashenko sta cercando di colpire anche chi è all’estero” con gli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, che hanno introdotto la possibilità di privare della cittadinanza chi è condannato per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia” – anche in assenza dell’imputato a processo – e rendendo queste persone potenziali apolidi. A questo si aggiunge il voto favorevole di lunedì (20 febbraio) del “Parlamento fantoccio” alla possibilità di punire con la pena di morte soldati e ufficiali per tradimento: in altre parole “chi critica il regime può essere fucilato”.
La leader delle forze di opposizione è direttamente coinvolta nella repressione del regime, anche se ormai da due anni e mezzo esule in Lituania. Lo scorso 17 gennaio è iniziato il processo in contumacia a suo carico, “una farsa che non ha niente a che fare con la giustizia”, ha attaccato Tsikhanouskaya, ricordando come suo marito, Siarhei Tsikhanouski, stia affrontando nuove accuse penali – dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali e già condannato a 18 anni di reclusione – “per spezzarlo e fare pressione su di me”. Tsikhanouskaya ha poi ricordato Ales Bialiatski, fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna e vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2022, che rischia dai 7 ai 12 anni di carcere per le accuse di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste. In carcere c’è anche Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020, che a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni e da allora non sono più arrivate notizie. “Non riusciranno a spezzarci, siamo più forti, e intanto la dissidenza continua in piccoli gruppi sotterranei”, ha sottolineato con forza la leader dell’opposizione.
Tra Bielorussia e Ucraina
La situazione interna è direttamente collegata allo scenario bellico nel Paese confinante. “Bielorussia e Ucraina stanno combattendo lo stesso demone, cioè l’imperialismo della Russia, la nostra lotta è intrecciata”, ha assicurato Tsikhanouskaya, richiamandosi a quanto già dichiarato a ottobre dello scorso anno di fronte ai membri della commissione Affari esteri (Afet) del Parlamento Europeo: “Dalla vittoria dell’Ucraina dipende il futuro democratico in Bielorussia e viceversa”, dal momento in cui il regime di Lukashenko “minaccia non solo il suo popolo, ma anche i nostri vicini ucraini”. È l’autoproclamato presidente bielorusso ad aver “permesso, facilitato ed essersi unito alla Russia in questa guerra in Ucraina” e, mentre il Parlamento Ue continua a chiedere un allineamento delle misure restrittive contro Minsk a quelle applicate a Mosca, la leader delle forze democratiche propone “una task force per controllare l’applicazione delle sanzioni, perché non devono essere aggirate”.
Allo stesso tempo i Ventisette devono evitare di cadere in un errore grossolano nei confronti del popolo bielorusso (e, di nuovo, il discorso dovrebbe essere esteso anche al popolo russo). “Da quando è scoppiata la guerra, i bielorussi che vivono all’estero subiscono discriminazioni, anche chi combatte contro il tiranno Lukashenko”. Ma è una questione cruciale “distinguere tra il popolo e il regime” in Bielorussia: “Il popolo che vuole libertà e indipendenza sta con Kiev, il regime invece collabora ed è alleato di Putin, anche Lukashenko deve essere portato davanti alla giustizia internazionale”. A Bruxelles e in tutte le capitali europee “va ascoltata la voce del popolo”, che indica come “illegale” la scelta di sospendere il Partenariato orientale: “Per noi è uno strumento cruciale per aiutare il nostro popolo e per continuare la strada che ci porta nell’Ue”, ha concluso con decisione la leader bielorussa Tsikhanouskaya, appoggiata dalla presidente del Cese, Christa Schweng: “Tutti i politici autoritari hanno paura del potere del popolo, investire in Bielorussia significa investire in Europa”.
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