Bruxelles – Più sostenibilità e meno debito. Green Deal e regole di bilancio. Il dibattito sulla riforma del patto di stabilità si tinge di verde ma diventa una nodo per l’Italia. Si compatta il fronte di quanti chiedono, con rinnovata urgenza, la riduzione dei livelli di debito pubblico dopo la crisi pandemica prima e quella energetica poi. Non è solo più il fronte dei soliti noti, i Paesi nordici, a volere un ritorno alla prudenza della spesa. A loro adesso si aggiunge anche la Francia. “Tutti, senza nessuna eccezione, devono tornare a una finanza pubblica sostenibile”, ragiona il ministro delle Finanze di Parigi, Bruno Le Maire, in occasione dei lavori del consiglio Ecofin.
La riforma del patto di stabilità richiede “la necessità di investire nell’industria senza emissioni di carbonio e nella lotta ai cambiamenti climatici”, garantendo allo stesso tempo “il ritorno a finanze pubbliche sane”. Su questo assunto, come espresso dal ministro francese, si crea una nuova convergenza franco-tedesca, visto che il governo di Berlino, a trazione socialdemocratica e dunque su posizioni meno rigoriste di quello Merkel, adesso inizia a insistere sulla necessità di tornare a mettere i conti sotto controllo. “Per la Germania è essenziale che si torni il prima possibile a finanze pubbliche in ordine e sostenibili”, mette in chiaro Christian Lindner, ministro delle Finanze tedesco.
Prima possibile vuol dire 2024, momento in cui si vorrebbe che la cosiddetta ‘clausola di fuga’ (escape clause) venga disattivata ripristinando regole comuni sul coordinamento della governance economica e il raggiungimento degli obiettivi comuni. La Commissione europea attende il vertice dei leader di marzo. Prima di mettere sul tavolo proposte legislative vere si vuole attendere che capi di Stato e di governo si esprimano in maniera più dettagliata e articolata. Ma quello che si profila all’orizzonte è un ritorno se non all’austerità certamente ad un percorso di riforme. “La necessità di investimenti per la transizione verde non può essere una scusa per evitare di fare le riforme strutturali” che servono, tuona ancora Lindner. “Siamo aperti a più flessibilità per il medio termine ma abbiamo bisogno di traiettorie credibili di riduzione del debito”.
Nessuno chiama in causa l’Italia in maniera diretta, ma dopo quello ellenico (161,9 per cento nel 2023 in relazione al Prodotto interno lordo, secondo le ultime stime della Commissione), il debito tricolore è secondo per mole (143,6 per cento in rapporto al Pil). E’ dunque evidente che un fronte comune in senso anti-spesa e anti-debito rischia di incidere sull’agenda politica del Paese e l’azione di governo. Che riceve gli avvertimenti del commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. “Per come si stanno mettendo le cose non c’è motivo di estendere la clausola di fuga” anche al 2024, e quindi a Roma bisognerà entrare nell’ordine delle idee che adesso i partner europei inizieranno a esigere quei cambiamenti di rotta che si ritengono non più rinviabili. Più sostenibilità e meno debito, realizzare la transizione verde rimettendo in ordine di conti: la sfida per tutti è questa. Soprattutto per l’Italia.