Bruxelles – La difesa dei diritti Lgbtq+ da parte della Commissione Ue sul territorio comunitario in generale e su quello ungherese in particolare si sposta nelle aule della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Dopo l’annuncio arrivato già lo scorso anno della volontà da parte del gabinetto von der Leyen di portare Budapest in tribunale per il mancato allineamento alle richieste di Bruxelles, ieri (13 febbraio) è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’Ue la procedura d’infrazione con le motivazioni per cui la Commissione considera la legge del 2021 una violazione dei diritti fondamentali dei cittadini e di diverse normative europee in materia di politica digitale e commerciale.
L’apertura della procedura d’infrazione contro l’Ungheria per la legge anti-Lgbtq+ è datata 15 luglio 2021, quando la Commissione aveva inviato a Budapest una lettera di costituzione in mora e aveva dato due mesi di tempo per rispondere nel merito. Dopo un anno e mezzo è arrivato il deferimento alla Corte di Giustizia dell’Ue – che ha seguito un parere motivato fatto recapitare al governo guidato da Viktor Orbán – dal momento in cui il Paese membro dell’Ue non ha corretto la propria legislazione nazionale per rispondere alle preoccupazioni sollevate dal gabinetto von der Leyen sul rispetto dei Trattati fondanti dell’Ue.
Come emerge anche dalle motivazioni del ricorso proposto il 19 dicembre dello scorso anno e ora messo nero su bianco in Gazzetta Ufficiale, il disegno di legge ungherese che pone l’omosessualità, il cambio di sesso e la divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita allo stesso livello della pornografia è una violazione dell’articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea (Tue). Si tratta dell’articolo-chiave sui valori su cui fonda il progetto dell’Ue: “Rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze“.
Ma non è solo questo. Vietando o limitando l’accesso a contenuti che diffondono – usando le parole dell’esecutivo ungherese – “divergenza dall’identità personale corrispondente al sesso alla nascita, al cambio di sesso o all’omosessualità” per le persone di età inferiore ai 18 anni, la Commissione Ue ha rilevato che l’Ungheria non ha motivato perché l’esposizione dei bambini a contenuti Lgbt+ in quanto tale sarebbe dannosa. Per questo motivo la legge violerebbe la direttiva del 2010 sui servizi di media audiovisivi (restrizioni ingiustificate alla libera fornitura di contenuti e servizi) e la direttiva del 2000 sul commercio elettronico (fornitura di servizi transfrontalieri), ma anche due articoli specifici del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Tfue): l’articolo 34 sulla libera circolazione delle merci e l’articolo 56 sulla libera prestazione di servizi (in particolare per la mancanza di notifica preventiva alla Commissione, nonostante l’obbligo previsto dalla direttiva sulla trasparenza del Mercato Unico).
Nel ricorso presentato dalla Commissione alla Corte di Giustizia dell’Ue arrivano già le prime sponde al gabinetto von der Leyen dagli altri Stati membri. Secondo quanto riferito dalla propria ministra degli Esteri, Hadja Lahbib, il Belgio sosterrà l’esecutivo comunitario contro la legge ungherese anti-Lgbtq+: “Questi diritti sono sottoposti a una pressione crescente e questa tendenza deve essere invertita“, ha reso noto su Twitter la ministra belga in concomitanza con la pubblicazione del ricorso in Gazzetta Ufficiale dell’Ue.
https://twitter.com/hadjalahbib/status/1625030483959590912?s=20&t=0VnR_h3sQvSTl5ZgKvXulA
Orbán contro la comunità Lgbtq+
Il premier ungherese Orbán è ora sotto pressione sia dall’esterno – con la causa della Commissione Ue a Lussemburgo – sia dall’interno. Nel giorno della conferma personale come leader alle elezioni parlamentari dello scorso anno, è stata però taciuta dal governo una grossa sconfitta arrivata contemporaneamente dalle urne. Il referendum sulla legge anti-Lgbtq+, convocato da Orbán nel luglio del 2021 proprio per ottenere il consenso popolare alla sua iniziativa, si è risolto in un fiasco il 4 aprile 2022: solo il 44,46 per cento degli elettori ha espresso un voto valido, non raggiungendo il quorum richiesto per avallare la proposta legislativa del governo.
Gli elettori ungheresi, pur riconfermando la fiducia nel partito Fidesz, hanno boicottato il referendum incentrato su cinque domande: 1) Sei a favore dello svolgimento di presentazioni negli istituti di istruzione pubblica che introducano i minori a temi sull’orientamento sessuale senza l’autorizzazione dei genitori? 2) Sei a favore della promozione di trattamenti di riassegnazione di genere per i minori? 3) Sei a favore che trattamenti per la riassegnazione di genere siano messi a disposizione dei minori? 4) Sei a favore che ai minori vengano mostrati, senza alcuna restrizione, contenuti media di natura sessuale in grado di influenzare il loro sviluppo? 5) Sei a favore che ai minori vengano presentati contenuti multimediali che mostrino la riassegnazione di genere?