Probabilmente sarebbe bastato usare l’arte del tacere e lo “sgarbo” del presidente francese Emmanuel Macron, che invita solo il cancelliere tedesco a Parigi per incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, sarebbe nato e morto nel giro di un pomeriggio. O sarebbe potuto diventare un successo per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Invece la premier non ha taciuto e, senza che qualcuno glielo avesse chiesto (perché la domanda a cui rispondeva era sul viaggio di ministri francese e tedesco a Washington a proposito del piano americano IRA) ha detto che la scelta di Macron era stata “inopportuna”. Nel frattempo i suoi uffici (di Meloni) tempestavano i giornalisti annunciando bilaterali con Zelensky a Bruxelles, a margine del Consiglio europeo, che non si sono tenuti, ridotti a un breve incontro a due, in una sala con tanta altra gente.
La questione ha continuato a montare e non è poi mancata una domanda a Macron sull’accaduto, e il presidente francese, a quel punto sotto l’attacco polemico di Meloni, ha risposto, va detto, senza alcuna cortesia.
E’ vero, parte della stampa italiana aveva parlato di una Meloni “isolata” e ignorata, ma, a parte il periodo del governo di Mario Draghi (ma era pur sempre Mario Draghi) quando mai in passato l’Italia è stata invitata al tavolo franco-tedesco? Son stati casi rarissimi.
Come poi ha sottolineato Meloni stessa in conferenza stampa, a Parigi (poche ore prima di un incontro con tutti i leader dell’Ue) c’erano solo Macron e Scholz, e nessuno degli altri 25, alcuni dei quali avrebbero avuto pieno titolo ad esserci, visto il lavoro che stanno facendo per aiutare gli ucraini, come ad esempio i polacchi, che hanno accolto milioni di sfollati.
Era un incontro a tre e, nell’Europa della Nazioni che Meloni difende da sempre, cosa c’è di strano se alcune Nazioni si incontrano senza le altre? Certo, sarebbe bello per l’Italia essere in una “cabina di regia” degli sforzi a favore dell’Ucraina, ma non si può dimenticare che il nostro Paese, che ha fatto, sta facendo e farà tanto, non è l’unico a lavorare per aiutare oggi la resistenza all’invasione. Dovrà però riuscire ad essere tra i protagonisti al tempo, che verrà, della ricostruzione. E forse questo è il tema di cui i tre hanno parlato a Parigi e sul quale Macron stesso ha posto il segreto.
Sarebbe bastato, a Meloni, tacere, e adoperare il suo staff per farsi vedere accanto a Macron, per far fotografare la cordiale stretta di mano che i due si sono scambiati quando si sono visti (l’ha raccontato lei stessa).
Uno statista che mostra rabbia e rancore perde di status, non acquista autorevolezza. Mostrarsi, in pubblico, sorridenti e di successo paga molto di più che rispondere con nervosismo agli attacchi dei giornali. E non vuol dire piegarsi, ma vuol dire saper fare politica estera, saper creare e mantenere quelle relazioni personali che sono la linfa di questa politica. E su questo, benché Meloni, e Antonio Tajani, non abbiano fatto errori ed anzi sembrano aver intrapreso una strada proficua, probabilmente la premier dovrà lavorare ancora.