Bruxelles – L’Italia guidata dalla prima ministra, Giorgia Meloni, si prepara al Consiglio Europeo straordinario che – in mezzo alla concitazione per la visita a Bruxelles del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky – ha come dossier più sensibile sul tavolo la gestione della migrazione. In un certo senso l’occasione della vita per la leader di un partito (Fratelli d’Italia) che ha sempre fatto della lotta agli ingressi irregolari uno dei principi identitari della propria propaganda e dell’azione dei primi mesi al governo, in modo più o meno criminalizzante per persone migranti e per chi presta soccorso. Eppure nella capitale dell’Unione la premier arriva con un’agenda che a ben guardare appare piuttosto moderata, ben lontana dalle roboanti promesse della campagna elettorale di (infattibili) blocchi navali e di (altrettanto controversi) hotspot extra-Ue.
Al vertice dei leader Ue – che fonti interne al Consiglio confidano di sperare ancora si possa chiudere in un solo, lungo giorno di lavori – la migrazione sarà l’ultimo punto di confronto tra i leader Ue. E anche l’unico su cui ci si aspetta che si possa correre il rischio che le discussioni si incaglino. La questione “è molto tesa”, sia per gli Stati di frontiera, sia per chi riceve movimenti secondari”, riportano alti funzionari europei, con le capacità di ricezione e accoglienza che “stanno arrivando al limite”. Fonti diplomatiche a Bruxelles assicurano però che sarà decisa la linea portata avanti dall’Italia, basata saldamente sulla prima frase della lettera inviata dalla presidente della Commissione Ue ai Ventisette lo scorso 26 gennaio: “La migrazione è una sfida europea per cui dobbiamo fornire una risposta europea“. Non a caso lo stesso incipit dell’ultima bozza delle conclusioni del vertice dei leader Ue.
“La gestione della migrazione è una delle nostre sfide comuni più importanti, sia oggi che, credo, negli anni a venire”, è quanto si legge nella lettera d’invito del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ai capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri, che esorta a cercare “insieme” una soluzione “sostenibile, responsabile e umana”. La risposta comune è per l’Italia la base di ogni confronto con le altre capitali sul fatto che a richiesta di responsabilità deve corrispondere una presa in carico da parte dell’Unione delle esigenze dei Paesi di primo arrivo. Un’esigenza emersa già nel non paper (documento non ufficiale) fatto circolare nell’ultima settimana da Roma, con i suoi quattro punti prioritari: cooperazione con i Paesi terzi, Agenda per il Mediterraneo, coordinamento delle attività di ricerca e soccorso ed “equilibrio” tra solidarietà e responsabilità.
La dimensione esterna assume un ruolo rilevante già a poche ore dall’inizio del vertice, secondo quanto messo nero su bianco dal presidente Michel: “Propongo di concentrarci in particolare sulla dimensione esterna della migrazione, rafforzando la nostra azione esterna, migliorando i rimpatri e le riammissioni, controllando meglio le nostre frontiere esterne e combattendo la tratta e il contrabbando”. Anche la premier Meloni porterà domani a Bruxelles la priorità di dare un giusto focus a questo aspetto, senza dimenticare la dimensione interna della migrazione: con cautela, precisano le fonti, per non rischiare di alterare le posizioni sulle proposte legislative del Patto migrazione e asilo in via di negoziato con il Parlamento Ue. Ciò su cui l’Italia spingerà sarà il tentativo di uscire dalla visione binaria di un fianco est e un fianco sud dell’Unione esposti al fenomeno migratorio, dal momento in cui le ragioni di base sono globali e anche le rotte partono e si sviluppano in modo intersecato.
Un tema che emergerà al vertice dei leader Ue – ma ancora non si sa in quali termini nelle conclusioni finali – è quello del finanziamento delle barriere di frontiera con i fondi Ue. A oggi la Commissione Ue non lascia intravedere nessuna apertura su questo fronte, per una questione più politica che giuridica: per il gabinetto von der Leyen i muri potrebbero rappresentare una violazione dei diritti umani, condizione vincolante per ottenere fondi comunitari attraverso lo Strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti (diverso è il discorso per le ‘infrastrutture fisiche’, che possono invece già ricevere fondi comunitari). Diversi Stati membri da settimane chiedono con insistenza di far crollare anche l’ultima resistenza e al momento le 27 delegazioni stanno trattando per la “formulazione precisa” da inserire nel testo che sarà adottato dal vertice, rendono noto i funzionari europei. Mentre la posizione favorevole del presidente Michel è già nota da più di un anno e per il momento il Consiglio “si limita a a segnalare la possibilità di un piano di infrastrutture per garantire punti di ingresso sicuri”, l’Italia resta alla finestra e non esprime alcuna posizione ufficiale o ufficiosa alla richiesta di costruire muri di confine con i fondi Ue.
Una linea rossa per Roma però c’è e sarà un altro punto di forte insistenza da parte della premier Meloni: le frontiere marittime hanno la loro specificità. In altre parole parole, in mare non si possono fare ragionamenti di ‘muri sì, muri no’ e, scoperto che la proposta di un blocco marittimo è quasi inconcepibile, per Roma è necessario puntare su una diminuzione delle partenze e degli arrivi. Rispetto al governo giallo-verde (a trazione Lega sul fronte della migrazione), l’esecutivo guidato da Meloni non ragiona più in termini di ricollocamento automatico delle persone migranti tra i Ventisette, ma piuttosto di una “cooperazione rafforzata e generalizzata” tra tutti gli attori che operano nel Mediterraneo: Ong, autorità nazionali, navi mercantili, Paesi terzi. Insomma, potrebbe anche sparire l’espressione “codice di condotta“, ma il concetto rimane lo stesso.