Bruxelles – Poca consapevolezza del fenomeno, poche informazioni in materia, ancora tanto da fare. La lotta alle mutilazioni genitali femminili per l’Unione europea resta un problema. In occasione delle giornata mondiale dedicata al tema e al suo contrasto, la Commissione Ue inizia a fare dei conti, e i numeri non sono dei migliori. “Nell’Ue 190mila bambine e ragazze rischiano di subire mutilazioni genitali“, denuncia l’esecutivo comunitario. A queste si aggiungono circa 600mila donne di età diversa costrette a vivere con le conseguenze degli interventi coatti. Senza contare che “ogni anno almeno 20mila donne e ragazze arrivano in Europa come richiedenti asilo” da Paesi dove la pratica di intervento sulle parti intime femminili è pratica diffusa.
La mutilazione genitale femminile comprende tutte le procedure che comportano l’asportazione parziale o totale dei genitali femminili esterni (grandi labbra, piccole labbra, clitoride) o altre lesioni agli organi genitali femminili per motivi non medici. E’ praticata in aree del continente africano e parte del Medio Oriente.
Il team von der Leyen chiama a raccolta gli Stati membri.”Dobbiamo agire con determinazione per portare il cambiamento, sradicare questa pratica“, il messaggio lanciato da cinque commissari, Josep Borrell (Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue), Vera Jourova (Valori e trasparenza), Dubravka Šuica (Demografia e democrazia), Helena Dalli (Uguaglianza), Jutta Urpilainen (partenariati internazionali). “La mutilazione genitale femminile è una violazione dei diritti umani e una forma di violenza contro donne e ragazze”. Questi interventi “non hanno benefici per la salute e causano danni per tutta la vita a donne e ragazze”.
L’Europa degli Stati è rimasta indietro. Ci sono poche ricerche e pochi dati, e il caso italiano ne è una riprova. Il Paese non ha un registro, e gli ultimi dati raccolto sono aggiornati al 2018, peraltro in forma di stime e dunque neppure certi. Un aspetto che si spiega anche con la difficoltà delle interessate a raccontare e denunciare, per l’impatto psico-emotivo che si viene a creare. Inoltre sei Paesi membri (Bulgaria, Lettonia, Lituania, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria), non hanno ancora ratificato la convenzione del Consiglio d’Europa.
La situazione si è fatta anche complicata. Perché se dieci anni fa donne a rischio mutilazione o già mutilate si trovavano in 13 Stati membri, a oggi il fenomeno ne riguarda 17, quattro in più. Qualcosa può iniziare a cambiare molto presto. Entro il 7 marzo le autorità nazionali potranno contare sul rinnovato Sistema d’informazione Schengen. Fornirà alle autorità nazionali una nuova categoria di allerta per permettere di individuare persone a rischio.