Il 2 febbraio il Parlamento europeo a maggioranza (per alzata di mano, dunque senza rilevazione dei numeri) ha tolto l’immunità ai deputati Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, così come chiesto dalla magistratura belga, nel quadro delle indagini su cosiddetto “Qatargate”. Gli inquirenti, da quel poco che si sa, ritengono che un gruppo di persone, tra le quali almeno tre europarlamentari, avrebbero preso dei soldi dai governi di Qatar e Marocco per favorire posizioni più morbide dell’organo politico nei riguardi della condizione dei lavoratori stranieri nell’emirato, e dei comportamenti del governo di Rabat nei confronti del popolo indipendentista dei Saharawi.
Si tratta chiaramente di una brutta storia, movimenti di danaro, anche se in quantità tutto sommato molto contenute, sempre per quello che si sa ora, ci sono stati, ed è certo un danno per tutti quando su un Parlamento nascono sospetti di questo tipo. Se fosse vero quanto si racconta sarebbe davvero una storia fatta da persone indegne.
Detto questo però quello che si nota è un cedimento della politica. Un crollo anzi, della politica, che si mostra ancora una volta, nonostante anni di denunce e battaglie, permeabile di fronte a chi fa della corruzione la sua strategia di influenza (sempre che i sospetti diventino realtà).
Dall’altro lato, quello che mi interessa di più, mi sembra che l’incapacità della politica di svolgere il suo ruolo di guida si concretizzi nella corsa sfrenata ad aprire le porte del Parlamento alla magistratura. “La giustizia ora può fare il suo corso. Nella storia del Parlamento, le immunità non sono mai state revocate così rapidamente”, ha affermato soddisfatta Manon Aubry, la relatrice dei provvedimenti di revoca, dopo il voto. Non vedo cosa ci sia da vantarsi ad aver corso. Un magistrato chiede e i deputati scattano sull’attenti, senza neanche un dibattito pubblico, senza neanche considerare le posizioni dei due colleghi per i quali si è concessa, e lo si poteva evitare, anche la possibilità di arresto. E qui in Belgio, a quanto pare, vista la vicenda di primi arrestati, la carcerazione preventiva (di una persona che potrebbe anche essere innocente, e che anzi, lo è fino alla condanna definitiva) ha una durata impressionante. Di mesi, che possono distruggere una vita.
Non una parola del Parlamento sul trattamento degli inquisiti già in prigione e non una parola sul fatto che i due, Cozzolino e Tarabella, si sono detti disponibili a parlare con la magistratura non appena i loro nomi iniziarono a circolare, settimane e settimane fa. Ma i magistrati belgi volevano la libertà di arrestarli, interrogarli non gli bastava, evidentemente. Ed il Parlamento non ha fatto una piega. Non che non dovesse, liberamente, decidere di concedere l’autorizzazione a procedere, ma avrebbe dovuto, parallelamente, parlare della questione dello stato della giustizia all’interno di uno Stato membro dell’Unione. Non lo ha fatto, inseguendo il furore popolare, abdicando al suo ruolo di difensore dei diritti (di tutti ovviamente) ha autorizzato ad arrestare due deputati che erano invece pronti a parlare la cui disponibilità la magistratura ha ignorato.
La questione più delicata in questa storia è il come si possano giudicare le posizioni politiche. Qui, eventualmente, non si tratta di assessori che hanno firmato un permesso edilizio fuori norma, fatto tangibile, evidente, ma si tratta di sostenere e condannare qualcuno per aver, se poi lo ha fatto, espresso posizioni politiche. Senza, probabilmente, neanche sapere quali fossero le posizioni precedenti a quelle sotto accusa, senza sapere se ce ne fossero. Cioè si aprirà forse tra qualche mese un processo che giudicherà sulle idee di alcuni parlamentari.
Sia chiaro, qui non sto sostenendo che i politici non siano corruttibili, e neanche che non ce ne siano di corrotti. Ma qui si parla di deputati che, in politica estera, non esercitano alcun potere, i cui voti, in questa materia, sono puramente simbolici perché il Parlamento europeo non ha competenze in questo settore. Dai voti sulle mozioni non scaturisce mai alcun effetto pratico. Le si mettono da parte e qualche volta le si possono riesumare per sostenere una tesi un confronto politico. Non stabiliscono però relazioni internazionali.
Certo, il Parlamento, in altri settori prende decisioni che hanno invece un effetto, perché in altri casi esercita un potere legislativo. E dunque dovremo avere il sospetto, ogni volta che un deputato, un gruppo parlamentare, un partito, cambia posizione politica, ci sia sotto qualcosa di losco? Evidentemente non è così. Ci sono partiti che sono stati favorevoli alla pena di morte e poi hanno cambiato posizione, c’era chi voleva l’indipendenza di alcune regioni e poi ha rinunciato, chi più semplicemente voleva abolire una tassa e poi l’ha lasciata stare, chi al contrario aveva promesso schierarsi contro un’imposta e poi l’ha sostenuta. Chi si è alleato con qualcuno e poi con qualcun altro. I casi sono a migliaia, ed è giusto che questo avvenga. Le situazioni si studiano, si comparano, cambiano e così cambia la posizioni dei politici.
Ecco, su questo avrei voluto ascoltare un dibattito, sul come è possibile giudicare penalmente i cambi di posizione politica. Quanti deputati, in Italia, hanno cambiato partito nella passata legislatura? Ho visto dei conti che ne hanno elencati più di 200. Ma a nessuno è venuto in mente che stessero commettendo un reato.
Avrei voluto che il Parlamento europeo avesse “fatto politica” prima di prendere una decisione, o anche nel mentre.
Come cittadino mi sento rappresentato dai politici, non dai magistrati. Da questi mi aspetto che si difenda la legge, da quelli voglio che si faccia la legge. È chi scelgo io per guidare la cosa pubblica che voglio che stabilisca i principi, non chi vince un concorso.
Dopo le prime crepe nell’inchiesta, che hanno portato alla liberazione “senza condizioni”, di Niccolò Figà Talamanca dopo due mesi di carcere preventivo da innocente, sarà interessante, a meno di una sequela di confessioni (al momento del tutto inattesa, visto che i deputati coinvolti si dicono tutti innocenti) vedere come si svilupperà il processo in Tribunale, per provare “la colpa delle idee”. Avrei preferito che nell’autorizzare gli arresti la politica avesse avuto la forza di discuterne, per difendere il proprio ruolo e quello dei cittadini che rappresenta. Anche questo aiuterebbe a ricostruire e rafforzare questa nostra democrazia che purtroppo tante crepe sta manifestando proprio perché abbiamo smesso di coltivarla e proteggerla.