Bruxelles – Un quadro semplificato per i produttori di tecnologie verdi, spinta sugli accordi commerciali per l’approvvigionamento di materie prime critiche, lo sviluppo di competenze per preparare manodopera alla transizione verde e un Fondo per la sovranità industriale europea. La Commissione europea svelerà domani (primo febbraio) con una comunicazione non legislativa le prime idee sul Piano industriale per il Green Deal, annunciato a Davos dalla presidente Ursula von der Leyen per delineare la “forte risposta” che l’Unione europea vuole dare al piano Usa contro l’inflazione, l’Inflation Reduction Act (Ira). Un piano di investimenti per le tecnologie verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dal governo statunitense, che fa preoccupare l’Ue perché potrebbe svantaggiare le imprese europee dal momento che prevede sgravi fiscali per acquistare prodotti americani tra cui automobili, batterie ed energie rinnovabili.
Al centro del piano europeo per l’industria il Green Deal dovrebbe esserci un nuovo “NetZero Industry Act”, una Legge dell’Ue per l’industria a emissioni zero sulla scia del ‘Chips Act’ varato da Bruxelles per i semiconduttori. Pochi ancora i dettagli, ma la legge servirà a individuare degli obiettivi chiari per la tecnologia pulita europea entro il 2030 e concentrare gli investimenti su progetti strategici lungo l’intera filiera. Sul fronte finanziario, come già anticipato nelle scorse settimane, da un lato la Commissione proporrà la semplificazione del regime di aiuti di stato nei settori che sostengono la transizione, come le batterie, la cattura e lo stoccaggio di carbonio, l’idrogeno verde e in generale le energie rinnovabili.
Dall’altro, la Commissione Ue è consapevole che allentare le regole sugli aiuti rischia di creare una frammentazione del mercato unico e una frattura tra gli Stati che hanno lo spazio fiscale per gli aiuti pubblici (di cui la gran parte sono notificati da Germania e Francia) e quelli che non ce l’hanno, come l’Italia. Dunque, l’altra via che sarà intrapresa dalla Commissione sarà quella di aumentare i finanziamenti propri dell’Ue: a medio termine, con un Fondo sovrano europeo per rilanciare l’industria, ma nel breve periodo garantendo la flessibilità dei fondi esistenti, puntando su ‘REPowerEu’, il piano varato a maggio per affrancare l’Ue dai combustibili fossili russi, di cui punta ad aumentare i finanziamenti.
Una parte centrale della sfida dell’industria a zero emissioni saranno le materie prime critiche essenziali per la transizione green, come il litio, per le quali oggi Bruxelles fa affidamento per il 98 per cento dalle importazioni dalla Cina. Per sviluppare un’industria di materie critiche o terre rare a prova di indipendenza ci vorranno anni, dunque nel frattempo Bruxelles cerca di rafforzare le partnership commerciali con Paesi che ritiene strategici da questo punto di vista per non perdere la corsa alla competitività con Usa e Cina. E’ per questo che una parte del Piano industriale per il Green Deal che verrà svelato domani riguarderà gli accordi commerciali, Bruxelles vuole velocizzare la ratifica di alcuni accordi commerciali ritenuti strategici per assicurarsi l’approvvigionamento di materie prime chiave. A quanto si apprende da fonti diplomatiche, la Commissione lavora per velocizzare il negoziato con l’Australia e per sottoscrivere un accordo di libero scambio Ue e Cile: il Cile è il secondo produttore al mondo di litio, impiegato per le batterie, e anche l’Australia è uno dei maggiori produttori al mondo. Al vaglio anche un accordo con il Messico e la ripresa delle trattative con il blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) sospese dal 2019.
Prove di distensione tra Bruxelles e Washington
Mentre prepara il suo piano per l’industria green, sul piano bilaterale e attraverso una task force Usa-Ue, Bruxelles sta cercando di limare gli aspetti più preoccupanti del piano statunitense. A quanto si apprende a Bruxelles, nelle scorse settimane si sono registrati progressi sui veicoli elettrici aziendali in leasing, con la pubblicazione di alcune linee guida da parte di Washington (che dovrebbero essere confermate a marzo) secondo cui i veicoli europei potranno beneficiare degli stessi vantaggi fiscali previsti per le auto made in Usa. Passi avanti, a quanto si apprende, anche sui minerali lavorati nell’Unione europea per la produzione di batterie elettriche. L’Ira prevede fino a un massimo di 7.500 dollari di incentivi per le batterie elettriche, di cui 3.750 riguardano i minerali e 3.750 il resto della componentistica. Per la quota relativa ai minerali, quindi il 50%, anche le batterie prodotte in Europa potranno avvalersi degli incentivi fiscali americani.
Per il momento non esiste una valutazione d’impatto dell’Ue dell’Ira sui singoli settori economici europei. Per quanto riguarda l’Italia, l’impatto diretto non dovrebbe essere così forte per quanto riguarda il settore dell’automotive. A quanto si apprende a Bruxelles, secondo studi fatti da organismi statali italiani le case automobilistiche che già hanno stabilimenti produttivi su territorio statunitense, come Stellantis, possono usufruire del requisito dell’assemblaggio locale per sfruttare gli incentivi previsti dalla legge statunitense per le vetture elettriche. Diverso il caso delle vetture elettriche che vengono assemblate in territorio europeo e poi vendute negli Usa. Difficile da valutare invece l’impatto per le piccole e medie aziende, in particolare del settore meccanico, che non producono per il mercato italiano ma per case produttrici europee, ad esempio francesi e tedesche. Sono soprattutto Francia e Germania ad aver manifestato le preoccupazioni maggiori riguardo all’Ira. A quanto si apprende, il settore della meccanica italiana avrebbe comunque segnalato forti preoccupazioni sul piano statunitense. Altra questione riguarda il costo dell’energia e l’impatto che le misure sul clean tech Usa potrebbero avere sul differenziale del costo dell’energia che già c’è a causa del conflitto in Ucraina. Le industrie energivore Usa, come quella dell’acciaio, potrebbero beneficiare di incentivi fiscali legati alla produzione di energia pulita, e dunque essere avvantaggiate con costi inferiori rispetto alle aziende europee dello stesso comparto