Bruxelles – “Mobilitazione dei fondi Ue per supportare gli Stati membri a rafforzare le capacità e le infrastrutture di controllo delle frontiere”. È bastata una frase nella lettera della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che ricordasse vagamente il concetto di ‘muri di confine’ per sollevare un vespaio a Bruxelles, con accuse da più parti all’esecutivo comunitario di aver ceduto infine anche sull’ultimo caposaldo in materia di migrazione e asilo: l’opposizione alle richieste degli Stati membri di utilizzare i fondi comunitari per la costruzione di barriere fisiche lungo il perimetro esterno dell’Unione. Muri alla frontiera, per dirla più semplicemente.
Ma c’è differenza tra “infrastrutture di controllo delle frontiere” e muri, e il gabinetto von der Leyen non ha mai aperto su questo punto. Né tantomeno lo ha fatto in questa occasione. “La posizione della Commissione non è assolutamente cambiata, l’abbiamo già detto numerose volte“, ha messo in chiaro oggi (27 gennaio) il portavoce capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, rispondendo alle domande della stampa. Anche se “è compito degli Stati membri decidere quali sono i migliori mezzi per adempiere ai loro obblighi di protezione delle frontiere”, il Berlaymont può finanziare “tutta una serie di misure e azioni che contribuiscono alla buona protezione” dei confini stessi. In questo contesto sono “incluse infrastrutture mobili e fisse, ma la Commissione ha sempre detto che non finanza la costruzione di muri“, ha precisato Mamer.
La confusione parte dalla definizione di “infrastrutture di controllo delle frontiere”. Come ricordato dal portavoce della Commissione “la parola ‘infrastrutture’ compare nella lettera perché è menzionata nella base legale” dell’Unione Europea: “Sembrano esserci degli errori di interpretazione sul fatto che non finanziamo nessun tipo di infrastruttura sul piano del controllo delle frontiere, ma questo è completamente sbagliato”. Se si considerano i progetti ammissibili per essere supportati con i fondi Ue secondo il regolamento che nel 2021 ha istituito lo Strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti (Border Management and Visa Instrument, Bmvi), emerge chiaramente in quali occasione i Ventisette possono ricevere finanziamenti da Bruxelles per la costruzione, manutenzione e riparazione delle infrastrutture. Quelle “per la sorveglianza tra i valichi di frontiera“, quelle “per il trattamento delle domande di visto e la cooperazione consolare” e quelle “necessarie per ospitare i sistemi IT su larga scala e le componenti delle infrastrutture di comunicazione associate“.
La stessa portavoce della Commissione responsabile per gli Affari interni e la migrazione, Anitta Hipper, ha ricordato alla stampa che gli Stati membri già oggi possono richiedere il supporto dell’Ue per “infrastrutture mobili e fisse ai valichi di frontiera, nuove installazioni per i sistemi IT o per il mantenimento degli equipaggiamenti, e altre installazioni per la gestione delle frontiere”. Strade per il pattugliamento dei confini, stazioni di guardia di frontiera, edifici per il trattamento delle richieste o, come ricordato dal portavoce-capo Mamer, “torri di guardia con equipaggiamento di sorveglianza, per esempio in Grecia“. L’utilizzo dei fondi Ue attraverso lo Strumento di sostegno finanziario è comunque vincolato al rispetto dei diritti fondamentali e in diverse occasioni sono emersi da inchieste giornalistiche punti oscuri nella gestione dei fondi Bmvi per la gestione delle frontiere esterne.
Perché la Commissione Ue non finanzia i muri
Per quanto moralmente discutibile possano essere i finanziamenti da parte di Bruxelles per l’installazione di sistemi di sorveglianza su barriere costruite con fondi nazionali (sono già quasi duemila chilometri), la questione è distinta rispetto ai muri di confine. “Alcuni li chiamano barriere, noi li chiamiamo muri, di mattoni o di qualsiasi altra cosa siano fatti“, è quanto puntualizzato dal portavoce della Commissione. Ma in ogni caso si tratta di “ciò che tiene le persone fuori dal territorio” dell’Unione Europea, impedendone l’accesso per richiedere la protezione internazionale. L’ultimo Paese membro ad aver chiesto di convogliare budget comunitario a questo scopo è stata l’Austria, che si considera sotto pressione per l’aumento degli arrivi dalla rotta balcanica e per questo motivo sta spingendo per la costruzione di un muro – o barriera, che dir si voglia – lungo il confine tra Bulgaria e Turchia.
Più che tecnica la questione della contrarietà della Commissione Ue al finanziamento di muri di frontiera si imposta sul piano dell’interpretazione dei Trattati fondanti dell’Unione. Più precisamente il rispetto dei diritti fondamentali garantiti dall’Ue, tra cui il principio di non respingimento sancito dall’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue). Per il gabinetto von der Leyen la costruzione di muri di confine – a maggior ragione con fondi comunitari – potrebbe costituire un caso di pushback, un respingimento illegale di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Unione Europea. “Ogni Stato membro ha l’obbligo di proteggere il proprio confine esterno, ma devono sempre essere in linea con il rispetto dei diritti fondamentali”, aveva rimarcato ieri (26 gennaio) la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, al termine del Consiglio Affari interni informale, chiudendo nuovamente la porta a un via libera ai Ventisette da parte del gabinetto von der Leyen.