Bruxelles – Stress. Idrico, agricolo, economico. Ma ancor più lavorativo. I cambiamenti climatici portano con sé effetti più visibili di altri. Tra quelli meno evidenti c’è quello psico-fisico, su cui la Banca centrale europea inizia ad accendere i riflettori nell’impossibilità, in temi di crisi energetica, di accendere i condizionatori. Perché alle ricadute di eventi estremi quali siccità per l’agricoltura o “le difficoltà a onorare i propri debiti” per le aziende interessate, si aggiungono “fonti di sottovalutazione dei cambiamenti climatici sull’economia quali l’impatto dello stress da calore sulla produttività del lavoro“. Un passaggio breve ma chiaro, quello contenuto nello speciale bollettino sugli indici climatici.
In estrema sintesi, ciò di cui avverte la Bce, è che con il caldo eccessivo si lavora male. Questo ha ricadute negative su produzione e produttività, con tutte le conseguenze del caso in termini di competitività. Un aspetto fin qui poco esplorato, e che secondo l’istituzione Ue non va escluso nel più ampio calcolo dei danni da ‘clima pazzo’. Perché non c’è dubbio, a Francoforte, che i fenomeni meteorologici estremi “possono avere un impatto anche sul sistema finanziario” e soprattutto la sua “stabilità”. Se da una parte dunque “il settore finanziario dovrà svolgere un ruolo nel sostenere la transizione verso un’economia netta zero”, appare evidente che a governi e imprese è lasciato il compito di prevenire stress sul posto di lavoro.
L’invito alle riforme per sostenere la trasformazione dell’economia in senso più verde, peraltro non nuovo, e su cui la presidente della stessa Bce sta insistendo da tempo, si estende dunque alle condizioni lavorative. Tanto più che la condizioni psico-fisica dei cittadini Ue in età da lavoro è già stata intaccata dalla pandemia di COVID-19, soprattutto tra le donne. Per un problema da dover affrontare, in prospettiva, ce n’è un altro con cui dover fare i conti. L’Europa degli Stati è avvisata.