Bruxelles – Rimane alta la tensione tra gli eurodeputati e il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento Ue, Olivér Várhelyi, dopo un anno particolarmente critico sul fronte dell’allineamento di alcuni Paesi candidati all’adesione Ue alla politica estera e ai principi su cui si basa l’Unione: “Il Parlamento Europeo rimane profondamente preoccupato per le notizie secondo cui il commissario per l’Allargamento Ue cerca deliberatamente di aggirare e minare la centralità delle riforme democratiche e dello Stato di diritto nei Paesi in via di adesione all’Ue”, è quanto si legge nel rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune adottato con 407 voti a favore, 92 contrari e 142 astenuti.
La polemica non è del tutto nuova e affonda le radici nel confronto tra Parlamento e Commissione dell’inizio 2022 sul ruolo del commissario Várhelyi nella crisi istituzionale in Bosnia ed Erzegovina, Paese nel mirino dell’allargamento Ue dal 2016 e candidato ufficiale all’adesione Ue dal 15 dicembre dello scorso anno. Dall’autunno del 2021 il leader della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba in Bosnia), Milorad Dodik, sta portando avanti una tabella di marcia per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario. A questo si aggiungono le continue provocazioni a Bruxelles e ai partner occidentali del Paese con gesti simbolici, come la recente onorificenza all’autocrate russo, Vladimir Putin. Il 12 gennaio 2022 un gruppo di 30 eurodeputati aveva inviato una lettera all’esecutivo Ue per chiedere conto delle possibili violazioni dell’imparzialità e neutralità del commissario responsabile per l’Allargamento Ue rispetto ai tentativi secessionisti della Republika Srpska.
Esattamente un anno dopo l’intero emiciclo dell’Eurocamera ha invece appoggiato la richiesta al gabinetto von der Leyen di “avviare un’indagine indipendente e imparziale per verificare se la condotta e le politiche portate avanti” dal commissario per l’Allargamento Ue Várhelyi costituiscano una “violazione del Codice di condotta per i membri della Commissione e degli obblighi del commissario ai sensi dei Trattati“. Il Codice di condotta mette nero su bianco come i commissari debbano applicare nella pratica i loro obblighi di indipendenza e integrità previsti nello specifico dall’articolo 245 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue): “I membri della Commissione si astengono da ogni atto incompatibile con il carattere delle loro funzioni, gli Stati membri rispettano la loro indipendenza e non cercano di influenzarli nell’adempimento dei loro compiti”. Dal momento dell’insediamento fino alla cessazione delle proprie funzioni “assumono l’impegno solenne di rispettare gli obblighi derivanti dalla loro carica”.
Le ombre sulla Politica di allargamento Ue
Várhelyi, prima di essere nominato commissario nel 2019, è stato ambasciatore a Bruxelles per l’Ungheria di Viktor Orbán. Nonostante il ruolo di indipendenza che deve contraddistinguere i membri dell’esecutivo Ue rispetto agli interessi nazionali, il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento Ue è non solo sospettato dagli eurodeputati di aver avallato le posizioni di Dodik, ma anche di essere un sostenitore dell’opposizione di Budapest alle sanzioni economiche contro i responsabili della crisi istituzionale e democratica in Bosnia. Il premier ungherese Orbán ha portato avanti una politica di strette relazioni diplomatiche con il serbo-bosniaco Dodik e con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, da sempre vicino alle aspirazioni secessioniste della Republika Srpska. I tre leader politici sono anche accomunati a vario modo da posizioni quantomeno discutibili sulla Russia e sulle sanzioni internazionali: da quella ‘morbida’ di Orbán (in quanto membro dell’Ue) a quella ‘non-allineata’ di Vučić, fino a quella apertamente contraria di Dodik.
Quello che gli eurodeputati chiedono all’esecutivo comunitario è di fare chiarezza sulla condotta del commissario per l’Allargamento Ue e se ci fossero gli estremi per le dimissioni, in quanto potenziale sospetto di un progetto ungherese di influenzamento delle politiche comunitarie sulla valutazione degli standard sullo Stato di diritto in Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Secondo quanto previsto dai Trattati, “la Commissione può decidere, tenendo conto del parere del Comitato etico indipendente e su proposta del presidente, di esprimere un rimprovero e, se del caso, di renderlo pubblico”. In ogni caso, la presidente von der Leyen “ha sempre il potere di chiedere ai singoli commissari di dimettersi” in caso di violazione degli obblighi previsti dal Codice di condotta, mentre la Corte di Giustizia dell’Ue “può privare gli ex-commissari dei loro diritti alla pensione o ad altri benefici”.