Bruxelles – Eva Kaili è stata sottoposta a un regime di isolamento e, secondo i suoi avvocati, “è stata torturata”. Al termine dell’udienza in cui la Camera di Consiglio di Bruxelles ha confermato la custodia cautelare preventiva per l’ex vicepresidente del Parlamento europeo, i suoi legali hanno denunciato con toni molto forti le condizioni di detenzione “medievali” della loro assistita, che da mercoledì 11 a venerdì 13 gennaio è stata trasferita in una cella d’isolamento su ordine del giudice istruttore Michel Claise. “Faceva freddo e le è stata negata una seconda coperta, la luce è rimasta sempre accesa e non poteva dormire, aveva le mestruazioni e perdeva molto sangue, senza potersi lavare”: è questo il racconto di uno sconvolto Mihalis Dimitrakopoulos, l’avvocato greco di Kaili.
La dura decisione del magistrato belga sarebbe stata presa nei giorni in cui a pochi chilometri di distanza, nel carcere di Saint Gilles, Antonio Panzeri si è convinto a collaborare con la giustizia. “Non ho altre spiegazioni, se non che le autorità giudiziarie hanno creduto che fosse il modo giusto per evitare che accadesse qualcosa mentre stavano negoziando il pentimento di Panzeri”, ha ricostruito i legale belga André Risopoulos. Una scelta “scioccante”, di cui gli avvocati sono venuti a conoscenza solo il 17 gennaio, quattro giorni dopo il trasferimento di Kaili in isolamento. “Prima di prendere iniziative e fare ricorso per trattamento inumano, degradante ingiustificato, voglio sapere veramente come si sono svolti i fatti”, ha dichiarato ancora Risopoulos.
Secondo gli avvocati non solo non esistono veri elementi che possano aver giustificato l’inasprimento della detenzione in quei giorni, ma anche il prolungamento della custodia al carcere di Haren: “La procura federale crede che esistano tutti i rischi per mettere in atto delle misure preventive, il rischio di fuga, di collusione con terzi e quello di distruzione di prove. Noi sosteniamo che non esistano”. È proprio su questo che era chiamata a esprimersi la Camera di Consiglio, sulla richiesta della difesa dell’applicazione di misure alternative di detenzione per Eva Kaili, come per esempio il braccialetto elettronico, che le avrebbe permesso di riabbracciare la figlia, che ha visto “solo 2 volte nelle ultime 6 settimane” e che dallo scorso 10 dicembre vive con il nonno materno, visto che anche il compagno di Kaili, Francesco Giorgi, si trova in stato d’arresto.
“È suo marito, lo ama ed è il padre di sua figlia”, hanno dichiarato gli avvocati a proposito di Giorgi, e sarebbe questo il motivo che ha portato l’ex vicepresidente dell’eurocamera a reagire in quel modo la sera del 9 dicembre, chiamando il padre e chiedendogli di riempire una valigia con i soldi del compagno e scappare. “Era in un momento di panico, aveva appreso sui giornali dell’arresto del suo compagno”. Anche a detta dei legali stessi, ruota proprio intorno a questo punto la difesa di Eva Kaili: la sua posizione è legata a quella del marito a causa del loro rapporto, ma lei “contesta di essere responsabile penalmente dell’appartenenza ad un’organizzazione criminale e di qualsiasi forma di riciclaggio”.
Sul pentimento del presunto numero uno della “cricca”, l’ex europarlamentare socialista Pier Antonio Panzeri, Risopoulos ammette di “comprendere in maniera chiara la sua scelta: Panzeri si sta comprando un futuro e va bene così, ora sa qual è la fine del suo periodo di detenzione, sa quali persone ha deciso di proteggere, in primo luogo la sua famiglia”, ma “questo sta avendo un effetto sulle condizioni della signora Kaili”. L’eurodeputata greca, se deciderà di fare appello contro la decisione presa oggi dai giudici, comparirà nuovamente davanti alla Camera di Consiglio nei prossimi 15 giorni.