Bruxelles – Chi arriverà nei Paesi membri dell’Unione Europea dalla Cina dovrà sottoporsi a un tampone Covid-19 prima della partenza. È quanto stabilito nel corso della riunione del meccanismo integrato di risposta politica alle crisi (Ipcr), convocata dalla presidenza di turno svedese del Consiglio dell’Ue per concordare una linea comune tra i Ventisette su restrizioni o requisiti di accesso al territorio comunitario di fronte all’aumento dei casi Covid-19 nel Paese asiatico e la contemporanea riapertura dei viaggi verso l’estero dall’8 gennaio. “Gli Stati membri sono fortemente incoraggiati a introdurre per tutti i passeggeri in partenza dalla Cina il requisito di un test Covid-19 negativo effettuato non più di 48 ore prima della partenza”, si legge nel comunicato pubblicato al termine della riunione durata quasi sei ore.
Nell’approccio “precauzionale” concordato tra i Ventisette compare anche la raccomandazione a tutti i viaggiatori provenienti dal Paese asiatico di “indossare una maschera medica o respiratoria FFP2/N95/KN95”. Queste misure di prevenzione dovranno essere integrate con “test casuali” negli aeroporti (sempre per i passeggeri in arrivo dalla Cina) e il “sequenziamento di tutti i risultati positivi per rafforzare la sorveglianza della situazione epidemiologica”. Con lo stesso scopo – monitorare costantemente i patogeni e analizzare somiglianze e differenze genetiche per tenere sotto controllo l’evoluzione degli agenti di malattie infettive – dovranno essere potenziati “test e sequenziamento delle acque reflue provenienti da aeroporti con voli internazionali e aerei in arrivo dalla Cina“. Negli Stati membri si continuerà a “promuovere la condivisione dei vaccini e la loro assunzione, comprese le dosi di richiamo, in particolare tra i gruppi vulnerabili”, mentre le misure introdotte saranno riviste alla luce della situazione epidemiologica “entro la metà di gennaio”.
La convergenza delle 27 capitali verso questi requisiti è apparsa sempre più verosimile dopo la seconda riunione in sei giorni Comitato per la sicurezza sanitaria dell’Ue – il gruppo consultivo informale sulla sicurezza sanitaria a livello europeo – svoltasi ieri (3 gennaio). Al termine del confronto tra gli esperti a Bruxelles, la commissaria europea per la Salute, Stella Kyriakides, ha reso noto che i tre principali punti di contatto tra i Paesi membri riguardavano “test prima della partenza per i viaggiatori provenienti dalla Cina, potenziamento del monitoraggio delle acque reflue e aumento della sorveglianza interna”. Sulla base dell’opinione fornita dall’esecutivo comunitario si è impostato il confronto di questo pomeriggio in seno al meccanismo integrato di risposta politica alle crisi, che la nuova presidenza svedese del Consiglio dell’Ue ha voluto per “adottare rapidamente le misure necessarie” per “un’azione europea congiunta”.
Oltre alla volontà di evitare una nuova ondata pandemica sul continente, la questione più urgente ha riguardato il rischio di una frammentazione dei Ventisette nelle misure adottate nei confronti dei viaggiatori in arrivo dal Paese asiatico. Erano state Italia, Francia e Spagna a introdurre tamponi antigenici obbligatori – e, in caso di positività, test molecolari – per tutti i passeggeri provenienti dalla Cina, dal momento in cui dal primo giugno dello scorso anno non è più in vigore l’obbligo di presentare il Certificato verde digitale dell’Ue (il Green Pass Europeo) per transitare sul territorio nazionale, mostrando il rischio di crepe tra i Ventisette a tre anni dallo scoppio della pandemia.
La controversa offerta di vaccini Ue alla Cina
Nonostante le misure preventive decise oggi, Bruxelles sta comunque cercando di non chiudere la porta a Pechino. “Prendiamo le misure che riteniamo giustificate in linea con l’evoluzione della situazione nel Paese e che si basano sulle discussioni tra i nostri esperti”, ha risposto la vice-portavoce capa della Commissione, Dana Spinant, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea, a proposito delle minacce del ministero degli Esteri cinese di applicare contromisure ai Paesi membri Ue sul principio di reciprocità.
A questo si aggiunge l’offerta di Bruxelles degli scorsi giorni alla Cina di inviare “expertise sulla salute pubblica e vaccini contro il Covid-19, anche quelli adattati alle varianti“, hanno confermato i portavoce della Commissione. La commissaria Kyriakides si è rivolta alla controparte cinese dopo la riunione del Comitato per la sicurezza sanitaria dell’Ue del 29 dicembre “per offrire anche donazioni di vaccini, considerata la situazione epidemiologica” nel Paese, anche se non è chiaro se a titolo gratuito. Pechino ha però respinto l’offerta con una punta di sdegno: “La Cina ha stabilito le più grandi linee di produzione al mondo di vaccini Covid-19 con una capacità di produzione annuale di oltre 7 miliardi di dosi, che soddisfano le esigenze di garantire che tutte le persone idonee abbiano accesso ai vaccini“, ha risposto seccamente la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning. Secondo il governo cinese “la situazione è prevedibile e sotto controllo e siamo pronti a lavorare con la comunità internazionale in solidarietà”, ha aggiunto la portavoce.
Il Paese asiatico si è però affidato esclusivamente ai vaccini Sinovac e Sinopharm, senza implementare su larga scala quelli che utilizzano la tecnologia mRNA. Lo scorso 21 dicembre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che l’attuale copertura vaccinale della Cina è insufficiente, con poco più del 50 per cento delle persone che ha ricevuto il ciclo vaccinale completo. L’Ue invece ha un tasso di vaccinazione medio superiore al 75 per cento e ha stretto accordi con otto produttori di vaccini: al momento gli Stati membri dispongono di scorte in eccesso a causa della grande quantità di dosi fornite attraverso contratti a lungo termine con le case farmaceutiche.