Bruxelles – Dietro le celebrazioni per l’ingresso della Croazia nello Spazio Schengen ci sono diverse ombre, più o meno recenti, sulle capacità di Zagabria di rispettare le condizioni richieste per la gestione delle frontiere esterne. Se le valutazioni di Commissione e Consiglio dell’Ue hanno confermato che il Paese soddisfa le condizioni tecniche per aderire all’area che ha abolito le frontiere interne, da anni a Bruxelles viene chiuso un occhio sul rispetto dei diritti umani delle persone che arrivano ai confini della Croazia – e di conseguenza dell’Unione Europea – con violazioni e abusi sistemici del diritto comunitario e internazionale.
A denunciare il legame tra le due questioni sono state otto organizzazioni non governative – tra cui Amnesty International, il Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (Ecre), Danish Refugee Council e Human Rights Watch – già nel momento del via libera dal Consiglio Giustizia e Affari interni a Zagabria l’8 dicembre scorso. “Le istituzioni comunitarie hanno premiato le tattiche della mano pesante che hanno fortificato i confini e impedito a ogni costo alle persone in cerca di protezione di entrare nell’Ue”, è il duro attacco ai criteri non soddisfatti del Meccanismo di valutazione e monitoraggio di Schengen. Oltre ad allinearsi ai criteri tecnici, l’adesione della Croazia sarebbe dovuta essere “condizionata dalla fine degli abusi alle frontiere“, ma anche alla “piena responsabilità delle autorità croate per le pratiche illegali e l’istituzione di un meccanismo indipendente di monitoraggio credibile ed efficace”.
Tutto ruota attorno al Codice frontiere Schengen che – come tutti i membri o gli aspiranti tali – la Croazia si è impegnata ad applicare nella sua interezza. Il regolamento richiede esplicitamente il rispetto del diritto internazionale e comunitario, incluso il principio di non respingimento sancito all’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue). In altre parole, si tratta del divieto di operare pushback, i respingimenti illegali di persone con diritto alla protezione internazionale ai confini dell’Ue nel processo di controllo e gestione delle frontiere. Tuttavia, nel corso degli ultimi sei anni le organizzazioni umanitarie hanno documentato tutta una serie di episodi in cui le autorità croate hanno negato l’accesso al territorio alle persone migranti, mettendo in atto “espulsioni collettive, anche violente”, che possono essere “equivalenti a torture e maltrattamenti”.
Secondo i dati raccolti dal Danish Refugee Council, tra giugno 2019 e settembre 2021 sono stati registrati 30.309 respingimenti illegali dalla Croazia alla Bosnia ed Erzegovina, e circa 7.200 solo tra gennaio e settembre dello scorso anno. Uno dei problemi maggiori riguarda il fatto che, “nonostante le prove sostanziali e spesso inconfutabili che la Croazia sta violando le norme dell’Ue”, le autorità di Zagabria “hanno continuato a non condurre indagini tempestive, approfondite e indipendenti sulle segnalazioni di cattiva condotta della polizia e a non chiedere conto ai responsabili”. È per questo motivo che uno dei passi indispensabili per un allineamento del Paese ai requisiti dei membri dello Spazio Schengen è la “riforma del meccanismo di monitoraggio delle frontiere, in modo che sia indipendente nella legge e nella pratica“, è l’esortazione delle otto Ong, che ribadiscono con forza anche la necessità di garantire che le violazioni dei diritti umani siano “prontamente e accuratamente indagate”.
L’inchiesta sugli abusi alle frontiere della Croazia
Le ultime notizie che arrivano dai Paesi di frontiera lungo la rotta balcanica – inclusa la Croazia – dovrebbero mettere in allarme Bruxelles e Zagabria in vista della prima valutazione sul rispetto dei requisiti Schengen attesa entro la fine del 2023. Come riporta un’inchiesta del network di giornalismo investigativo Lighthouse Reports, centinaia di persone hanno testimoniato l’esistenza di centri di detenzione clandestini dove vengono trattenuti i migranti senza poter dare loro la possibilità di fare richiesta di asilo. Le forze di polizia in Bulgaria, Ungheria e Croazia utilizzano strutture segrete, furgoni e container sul confine per detenerli, prima di deportarli in modo illegale fuori dal territorio nazionale.
Si tratterebbe anche in questo caso di un’evidente violazione del diritto internazionale, confermata dalle prove fotografiche dei centri che operano al di fuori dei sistemi formali di detenzione o accoglienza (e per questo motivo esclusi dai controlli di agenzie indipendenti). L’inchiesta giornalistica è durata per tutto il 2022 e – grazie anche a testimonianze di persone che sono state detenute in questi centri illegali – ha dimostrato che si tratterebbe di un sistema messo in atto anche con i fondi dell’Ue e con il benestare degli agenti di Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), già al centro dello scandalo dei pushback della guardia costiera greca nel Mar Egeo. Nonostante le preoccupazioni della Commissione Ue per il rispetto dei diritti fondamentali delle persone che arrivano ai confini dell’Unione seguendo la rotta balcanica, questo non ha impedito alla Croazia di ricevere 163 milioni di euro per la gestione delle frontiere esterne, la Bulgaria 320 milioni e l’Ungheria 144.