Bruxelles – Ogni volta che a Bruxelles si riapre il “dossier migrazione e asilo”, dalla prima crisi del 2015 a oggi, ormai si è consapevoli che il confronto tra i Ventisette si addentra in una strada lunga e tortuosa. Il dossier resta una questione irrisolta, da quasi dieci anni. Nell’anno che si sta per chiudere, le presidenze di turno del Consiglio dell’Ue, francese e ceca, hanno provato a rompere gli indugi e compiere significativi passi avanti, per lasciare una patata un po’ meno bollente a quella svedese, che aprirà un 2023 che potrebbe essere finalmente decisivo per cambiare le regole del gioco sulla gestione comunitaria dei movimenti migratori.
Che il 2022 potesse essere l’anno buono per provare superare l’impasse, si era auspicato con la risposta che i 27 Paesi membri avevano dato già dai primi mesi dell’anno per accogliere i profughi della guerra in Ucraina: oltre 4,8 milioni di rifugiati ucraini hanno beneficiato dello stato di protezione temporanea messo in campo in fretta e furia dall’Ue, che ha aperto le sue porte “allo straniero” con una determinazione e una solidarietà senza precedenti. 523 milioni di euro di aiuti umanitari, sostegno tecnico e finanziario agli Stati membri che ospitano le persone migranti e all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e in generale una disponibilità all’accoglienza e alla redistribuzione che ha fatto sì che, al 30 settembre 2022, la Polonia accogliesse ben 1,4 milioni di ucraini, la Germania oltre 800 mila, la Spagna e l’Italia all’incirca 150 mila.
L’accordo sul meccanismo di solidarietà e il caso Ocean Viking
La risposta immediata alla crisi umanitaria provocata dall’invasione russa in Ucraina ha spinto il gabinetto di Ursula von der Leyen e la presidenza francese a insistere per trovare un’intesa sul meccanismo di solidarietà per la redistribuzione dei migranti, parcheggiato da quasi due anni insieme alla proposta della Commissione europea per nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, datata 20 settembre 2020. Il 10 giugno i ministri europei dell’Interno riuniti a Lussemburgo hanno dato l’ok al documento che ha delineato un meccanismo di solidarietà (volontaria) tra i Paesi per far fronte agli arrivi di migranti in territorio europeo. Annunciata come un “accordo storico” dalla Commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, l’intesa è stato firmata da 18 Paesi Ue e 3 Stati associati, che si sono impegnati a contribuire tramite ricollocamenti dai Paesi di primo ingresso o con sostegno finanziario e di personale per la gestione dei confini.
Il successo diplomatico della presidenza francese ha iniziato a scricchiolare già in autunno, sotto il peso delle centinaia di migliaia di arrivi ai confini dell’Unione, soprattutto dai Balcani occidentali e dal Mediterraneo centrale, alimentati dalla forte insicurezza alimentare nei Paesi del Nord Africa e dall’altrettanto preoccupante instabilità politica del Medioriente, in primis dell’Afghanistan caduto nelle mani dei Talebani.
Secondo i dati dell’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera (Frontex), da gennaio a novembre 2022 si sono verificati oltre 275 mila ingressi irregolari sul territorio Ue, il dato più alto dal 2016. Di questi, la maggior parte sono stati registrati nei Balcani Occidentali (130 mila), ma all’incirca 90 mila rientrano nella rotta che dalle coste libiche arriva ai porti siciliani e calabresi, in aumento del 48 per cento rispetto all’anno precedente.
La rinnovata pressione sui Paesi di primo ingresso, vincolati all’identificazione e all’accoglienza delle persone migranti sancite dal regolamento di Dublino, ha messo in evidenza i limiti dell’accordo estivo sulla redistribuzione volontaria: dei 10 mila ricollocamenti annuali previsti dall’intesa, nei primi 5 mesi ne sono stati effettuati poco più di un centinaio. La questione è esplosa definitivamente a inizio novembre, quando il nuovo governo italiano guidato da Giorgia Meloni, insediatosi appena due settimane prima, ha forzato la mano decidendo di negare l’approdo al porto di Catania alla nave Ocean Viking dell’ong Sos Mediterranée, che navigava da giorni con 234 persone migranti a bordo. Dopo giorni di tensione, con la Commissione europea che esortava a rispettare l’obbligo legale di soccorrere e garantire la sicurezza in mare e richiamava gli Stati membri a quella sfuggevole solidarietà intravista solo pochi mesi prima con i rifugiati ucraini, l’11 novembre la Francia ha permesso all’imbarcazione di attraccare a Tolone, denunciando il “comportamento inaccettabile” di Palazzo Chigi, “contrario al diritto del mare e alla solidarietà europea”. Non solo, l’Eliseo in quell’occasione ha annunciato la sospensione del ricollocamento di 3500 rifugiati dall’Italia in territorio francese e ha esortato gli altri partecipanti al meccanismo di solidarietà a fare lo stesso.
I Piani d’azione della Commissione Ue e le tappe per il 2023
La querelle tra Roma e Parigi ha costretto immediatamente la Commissione europea a correre ai ripari: il 21 novembre e il 5 dicembre la Commissaria Johansson ha presentato due nuovi Piani d’azione, rispettivamente per il Mediterraneo centrale e per i Balcani occidentali. Nel cuore del Mediterraneo, l’esecutivo von der Leyen ha identificato tre linee direttive da sviluppare: lavorare sulla cooperazione tra gli Stati Ue, con i Paesi di partenza e con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Iom) per prevenire le partenze, agire nella fase di ricerca e soccorso in modo più coordinato, perfezionare l’implementazione del meccanismo di solidarietà per i ricollocamenti.
Sulla rotta balcanica, il piano d’azione prevede come prima strategia operativa il rafforzamento della gestione delle frontiere, non solo quelle esterne dell’Ue, ma anche quelle tra i sei Paesi balcanici, con maggiori dispiegamenti degli agenti di Frontex. E poi l’obiettivo di snellire le procedure d’asilo e renderle più rapide, sostenendo contemporaneamente le capacità d’accoglienza degli Stati membri. Infine, la Commissione è determinata a rafforzare la cooperazione per la riammissione e i rimpatri, in modo da aumentare i rientri nei Paesi d’origine direttamente dai 6 dei Balcani Occidentali.
I risultati più incoraggianti sono stati raggiunti in extremis, negli ultimi concitati giorni della presidenza ceca: il 16 dicembre i 27 leader Ue hanno trovato un “chiaro accordo” sulla necessità di convocare un Consiglio Europeo straordinario per discutere della gestione comunitaria dei movimenti migratori, che si terrà i prossimi 9 e 10 febbraio. E poi, alla vigilia del passaggio di consegne tra Praga e Stoccolma alla presidenza del Consiglio dell’Ue, gli ambasciatori riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio hanno concordato i mandati per negoziare con l’Eurocamera quattro degli otto dossier che costituiscono il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, proposto dalla Commissione nel 2020.
Dopo le due intese tra i negoziatori del Parlamento Ue e del Consiglio dell’Ue a proposito della direttiva sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e del Regolamento sul nuovo quadro di reinsediamento, quanto concordato tra i 27 ambasciatori Ue è un avanzamento dei lavori sulla riforma della legislazione comunitaria sulla migrazione e l’asilo, che combina le proposte della Commissione di sei anni fa e il Patto migrazione e asilo del 2020, secondo la tabella di marcia dei co-legislatori firmata a inizio settembre per arrivare alla chiusura di tutti i file entro la fine della legislatura nel febbraio 2024.
La presidenza svedese, con l’incognita della componente di estrema destra nella maggioranza di governo, aprirà dunque i lavori nel segno delle politiche di migrazione e asilo, avviando i negoziati sui Regolamenti sulle procedure d’asilo e sulle condizioni minime necessarie per poter beneficiare della protezione sul territorio comunitario.