Bruxelles – La presidenza dell’energia. Non c’è dubbio che il semestre di presidenza della Repubblica ceca alla guida dell’Ue che si concluderà il 31 dicembre sarà ricordato per la risposta che l’Unione europea ha dato alla crisi dell’energia e dei prezzi innescata dalla guerra di Russia in Ucraina. Dall’ultimo (in ordine di tempo) difficile accordo sul price cap raggiunto a dicembre, allo sblocco dei principali dossier del pacchetto climatico ‘Fit for 55’ che porterà l’Ue ad abbattere le emissioni del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) come tappa intermedia per la neutralità climatica al 2050.
Otto Consigli Ue dell’Energia (due ordinari, uno informale e cinque straordinari), cinque pacchetti di emergenza contro il caro prezzi adottati nel giro di sei mesi, sei accordi politici con gli Stati membri sui file del ‘Fit for 55’, oltre che centinaia di riunioni e incontri informali per sbloccare le impasse. I numeri del semestre ceco danno la misura della gravità dell’emergenza che l’Unione europea si è trovata ad affrontare, in genere si convocano due o al massimo tre riunioni a livello ministeriale. Il ministro ceco dell’Industria e del commercio, Jozef Síkela, che ha presieduto tutte le riunioni, lo aveva detto fin dall’inizio sposando il motto diventato celebre a Bruxelles del “Convocherò tutti i Consigli Energia straordinari che saranno necessari” per affrontare la crisi. E così ha fatto.
L’Ue ha assistito a tensioni sui mercati dell’energia già alla fine del 2021, con la ripresa post-COVID che ha spinto al rialzo i prezzi del gas e dell’elettricità, una situazione aggravata dalla Russia che ha mantenuto provocatoriamente bassi i suoi flussi di gas verso l’Europa. Nulla in confronto all’impatto che l’invasione russa dell’Ucraina e la successiva manipolazione e ricatto hanno avuto sul sistema energetico dell’Ue, che si è vista tagliare l’80% delle forniture in arrivo da Mosca.
Rethink, Rebuild, Repower
Sei mesi fa, Praga assumeva la guida dell’Ue scegliendo il motto ‘Rethink, Rebuild, Repower’ (Ripensare, rinnovare “ripotenziare” l’UE) vista la necessità per il Paese di concentrarsi sull’attuazione del pacchetto energetico ‘RePowerEU’, presentato il 18 maggio dalla Commissione Europea come una tabella di marcia per liberare l’Unione dalla dipendenza dai combustibili fossili russi al più tardi entro il 2027. La presidenza è riuscita a raggiungere un’intesa con l’Eurocamera lo scorso 14 dicembre sul piano, che ora dovrà essere attuato dalla futura presidenza di Svezia.
L’eredità di Praga alla testa dell’Ue sarà però l’accordo raggiunto in extremis lo scorso 19 dicembre sul tetto al prezzo del gas, quel meccanismo di correzione del mercato proposto dalla Commissione europea il 22 novembre (dopo mesi di pressione e insistenza da parte dei governi, in particolare l’Italia) che per mesi ha diviso l’Europa ed è stato un nodo difficile da sbrogliare, con l’opposizione di Germania, Paesi Bassi. In attesa di capire se il cap verrà mai attivato (sarà in vigore dal 15 febbraio), Praga è riuscita a trovare un’intesa tra i governi su una serie di misure di emergenza proposte dalla Commissione europea: sulla riduzione (volontaria) dei consumi di gas del 15% (rispetto alla media dei consumi degli ultimi cinque anni) tra il primo agosto 2022 e il 31 marzo 2023; sulla riduzione della domanda di elettricità e l’introduzione di un tetto massimo a 180 euro/MWh sui ricavi dei produttori di elettricità a costi bassi (i cosiddetti inframarginali), un contributo di solidarietà pari al 33% dei profitti per le aziende del settore dei combustibili fossili.
Poi, ancora, lo scorso 19 dicembre l’accordo sul price cap ha ‘sbloccato’ anche il via libera dei ministri dell’energia alle nuove regole sulla solidarietà, gli acquisti congiunti di gas (che dovrebbero partire nel 2023 per l’acquisto congiunto di 13,5 miliardi di metri cubi di gas, un nuovo indice di riferimento per il Gnl complementare al TTF olandese e l’accelerazione dei permessi di autorizzazione per le rinnovabili, gli ultimi due regolamenti di emergenza proposti da Bruxelles rispettivamente il 18 ottobre e il 9 novembre.
Sul fronte ambientale e climatico, il più grande successo della presidenza ceca è legato all’approvazione di tutte le sezioni climatiche del ‘Fit for 55’. Tra queste, l’accordo raggiunto il 18 dicembre per riformare il sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (l’Ets – Emission Trading System), il mercato europeo del carbonio, anche l’intesa per creare un Fondo sociale per il clima per ammortizzare i costi della transizione e finalizzando i dettagli rimasti da definire per l’entrata in vigore della tassa sul carbonio alle frontiere. A fine ottobre, raggiunta l’intesa per porre fine a partire dal 2035 alla vendita delle auto a combustione, diesel e benzina.
Poi ancora, intesa raggiunta sull’aumento della capacità delle foreste e dei suoli di assorbire le emissioni di CO2 (il cosiddetto regolamento LULUCF) e limiti più severi alle emissioni di CO2 da trasporti, edifici, rifiuti e agricoltura (il regolamento sulla condivisione degli sforzi). Resta in eredità alla presidenza svedese la revisione delle direttive efficienza energetica e energie rinnovabili (entrambe del 2018), su cui però ora il Consiglio Ue ha una posizione negoziale per avviare i colloqui con l’Europarlamento.
Fuori dal ‘Fit for 55’, la presidenza ceca ha raggiunto un accordo con gli Stati membri anche sulle norme per le batterie sostenibili e sulla revisione delle reti TEN-T, che dovrebbe tradursi in viaggi di migliore qualità e maggiori finanziamenti per la costruzione dei trasporti. Alla presidenza svedese, che ha posto la transizione energetica tra le sue priorità, resta l’attuazione di parte degli accordi che Praga ha contribuito a realizzare. Così come nuovi interventi di cui la Commissione europea ha già annunciato la presentazione nella prima parte del 2023, dalla riforma del mercato elettrico – che dovrebbe includere il disaccoppiamento dei prezzi del gas e dell’elettricità – al nuovo indice di riferimento per il gas naturale liquefatto che sarà complementare al TTF olandese.
Non solo energia
Se la presidenza di Praga sarà ricordata per la risposta alla crisi energetica, non è l’unico fronte su cui si sono compiuti passi avanti degni di di essere menzionati. Gli ultimi tre (su nove totali) pacchetti di sanzioni contro la Russia sono stati adottati nell’ultimo semestre, mentre Praga ha contribuito a sbloccare anche il veto ungherese sul piano di aiuti finanziari da 18 miliardi di euro per l’Ucrasina per il prossimo anno e sulla tassa minima delle multinazionali, che permetterà di imporre un’aliquota minima del 15 per cento alle imprese con un fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro. Dopo anni di stagnazione passi avanti anche sul processo di allargamento, anche se rimangono scarsi quelli sul nuovo patto per le migrazioni e l’asilo, fermo ai negoziati da settembre 2020 (quando la proposta è stata avanzata) ma su cui la Commissione europea punta a trovare un accordo entro fine legislatura, nel 2024.
Scarsi o nulli progressi (ma questo non stupisce) si osservano sul fronte della riforma dei trattati dell’Ue, un dibattito che l’esperimento della Conferenza sul futuro dell’Europa ha contribuito a rilanciare. Senza successo, perché una volta preso atto del fatto che non c’è una maggioranza per aprire una convenzione in cui discuterne (come richiesto dal Parlamento europeo), Praga ha rimesso le discussioni nelle mani della futura presidenza di Svezia. Per aprire una convenzione servono 14 Stati membri in seno al Consiglio e mentre ancora doveva calare il sipario sui lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa un gruppo di tredici Paesi europei – Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Svezia e Slovenia – si è opposto con fermezza alla modifica dei Trattati europei. Con 13 Paesi membri su 27 contrari alla convenzione, un vero e proprio dibattito tra i governi ancora non c’è stato.