Bruxelles – L’Unione europea deve rimettere mano alle normative sul commercio elettronico, perché allo stato attuale, quando si parla di e-commerce, “mancano informazioni affidabili sull’impronta ambientale” del comparto. Un vuoto legislativo da colmare, se si vuole rendere efficace davvero il Green Deal e la strategia di cambiamento in senso eco-sostenibile in esso contenuta. Lo studio realizzato dal Centro ricerche del Parlamento europeo per conto della commissione Mercato interno, è chiaro: c’è ancora del lavoro da svolgere. Si tratta di estendere all’economia telematica quanto fatto fin qui per l’economia reale.
La raccomandazione, per Commissione (che ha potere di iniziativa legislativa), Parlamento e Consiglio (che decidono sulla base delle proposta della Commissione), è la stessa: occorre “garantire che la legislazione esistente sia rispettata nello spazio digitale”. Così facendo si permetterebbe di “sostenere le autorità nazionali nell’applicazione della legislazione esistente, monitorare le pratiche online con strumenti digitali e fornire sostegno alle imprese per conformarsi alle norme esistenti”.
Il nodo di fondo è allo stato attuale, in assenza di direttive o regolamenti in materia, ognuno si dotta della proprie regole di condotta. Ma questo produce un quadro disomogeneo e anche impossibile da giudica. Un esempio, in tal senso, è rappresentato da Amazon. Il sempre più noto operatore di internet a cui sempre più cittadini Ue si affidano per i loro acquisti on-line, ha sì delle regole di sostenibilità, ma non misurabili. Il marchio è diventato uno motivo di studio, e il documento dedica un paragrafo proprio alla nota casa di shopping e consegne. Amazon ha introdotto uno schema di certificazione globale per indicare prodotti più sostenibili, vale a dire la certificazione “Climate Pledge Friendly” (impegno amico del clima, letteralmente).
Questa iniziativa aziendale, però, presenta delle criticità. “Non è chiaro se l’impronta di carbonio calcolata si basi su dati primari del produttore effettivo o su un prodotto medio della categoria di prodotti”, critica lo studio. Inoltre, per questi certificati Amazon si rivolge alla società ClimatePartner. Ebbene, “né la metodologia utilizzata da ClimatePartner, né il valore dell’impronta del prodotto effettivo sono visibili al consumatore, o non è facilmente reperibile”.
A livello Ue, inoltre, la certificazione ‘Climate Pledge Friendly’ “sembra esistere solo in alcune aree geografiche” invece che nell’intero territorio dell’Unione europea. “Un prodotto con la certificazione Climate Pledge Friendly nel negozio online tedesco, non sembra avere la stessa etichetta nel negozio online olandese”. Un esempio pratico che, secondo gli analisti del Parlamento europeo, serve a rendere chiaro il quadro di una situazione che vede regole di sostenibilità a macchia di leopardo e dall’efficacia tutta da dimostrare. La transizione verde e transizione digitale, dunque, risultano intrecciate l’un l’altra. Un intervento normativo più deciso ed efficace nella seconda possono contribuire al successo della prima.