Bruxelles – Una nuova stretta del regime di Alexander Lukashenko contro l’opposizione dentro e fuori la Bielorussia, per privare dei diritti umani di base chi tenta di denunciare l’oppressione che si aggrava giorno dopo giorno nel Paese alleato della Russia di Vladimir Putin. L’Assemblea nazionale della Bielorussia ha dato il via libera agli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, introducendo la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. Si attende ora la ratifica dell’autocrate Lukashenko, mentre l’Ue denuncia “l’ulteriore passo in avanti nella brutale persecuzione del regime bielorusso nei confronti di tutte le voci indipendenti”.
Il disegno di legge approvato dall’Assemblea nazionale della Bielorussia elenca 55 articoli del Codice penale che potrebbero essere considerati per i due reati, già utilizzati da due anni nei processi a sfondo politico. Secondo i dati pubblicati dall’organizzazione bielorussa per i diritti umani Viasna, più di 200 prigionieri politici sono stati accusati di “incitamento all’odio” (articolo 130), 148 di “partecipazione a disordini di massa” (articolo 293) e 140 di “violenza o minaccia di violenza contro un ufficiale delle forze dell’ordine” (articolo 364). A questo si associa anche l’emendamento del Codice penale dello scorso luglio, che autorizza le cosiddette “procedure speciali” per processi penali senza la presenza dell’imputato (per reati come “tentati atti di terrorismo” è stata reintrodotta la pena di morte), in aperta violazione del diritto a un processo equo.
“I rappresentanti delle forze democratiche, dei media e della società civile, che hanno abbandonato il Paese per sfuggire alle persecuzioni, potrebbero così rischiare di diventare apolidi“, è quanto denuncia la portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Nabila Massrali. Si tratterebbe, in altre parole, di una “violazione del diritto internazionale“, dal momento in cui l’articolo 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo “tutela il diritto alla cittadinanza e ne vieta la privazione arbitraria”. Ma allo stesso tempo la legge violerebbe anche la stessa Costituzione bielorussa, che all’articolo 10 stabilisce che “nessuno può essere privato della cittadinanza bielorussa”. Ad agosto le disposizioni erano state introdotte per revocare la cittadinanza a chi è stato naturalizzato e successivamente condannato per reati contro lo Stato, ma ora la portata della legge si estende a tutti gli oppositori, anche a chi è nato nel Paese e non possiede altra cittadinanza se non quella bielorussa.
La denuncia di Bruxelles sulla “crescente illegalità in Bielorussia” – rappresentata dai nuovi emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002 – si lega alla detenzione di “più di 1440 prigionieri politici, spesso in condizioni disumane” (erano mille a inizio anno), oltre al fatto che “i processi si svolgono a porte chiuse e le sentenze vengono emesse in contumacia”, ha ricordato la portavoce del Seae. Dopo le proteste di massa dell’agosto 2020 contro il risultato truccato delle elezioni presidenziali e le repressioni che ne sono seguite, migliaia di cittadini sono fuggiti dalla Bielorussia (compresa la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche, Sviatlana Tsikhanouskaya), mentre altri – come la compagna di campagna elettorale Maria Kolesnikova – sono rimasti nel Paese a guidare l’opposizione a Lukashenko. Tra il 2020 e il 2021 si è registrato un aumento di rifugiati e richiedenti asilo bielorussi a livello globale presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) da 7.837 a 11.431. La maggior parte è fuggita in Polonia, Lituania, Lettonia, Germania, Repubblica Ceca, Estonia, Ucraina (prima dell’inizio dell’invasione russa) e Georgia.