Bruxelles – Problemi di salute legati all‘aria inquinata di città, se le amministrazioni locali dovrebbero adoperarsi per rendere qualitativamente migliore ciò che si respira e tutelare il cittadino, il diritto dell’Ue non può offrire uno strumento di difesa in termini di risarcimenti. Le normative comunitarie in materia “perseguono interessi generali”, e di conseguenza “non sono preordinate a conferire diritti ai singoli”. Non ci si può dunque rivalere sullo Stato, neppure di fronte al continuo sforamento dei limiti di emissione di polveri sottili (Pm10) o biossido di azoto (NO2). A stabilirlo la Corte di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza che respinge le richieste di indennizzo da 21 milioni di euro per ragioni di salute avanzate da un cittadino francese nei confronti del governo del suo Paese.
La causa è stata avanzata con riferimento alla direttiva sulla qualità dell’aria e gli obiettivi in essa contenuta. Persa la battaglia legale in Francia, l’uomo si è rivolto ai giudici di Lussemburgo. Questi riconoscono che, sì, “è vero” è che le direttive sulla qualità dell’aria prevedono obblighi chiari e precisi in merito al risultato che gli Stati membri devono garantire. Tuttavia, questi obblighi perseguono “un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso”. Dunque la situazione va gestita a livello nazionale, nel caso specifico. Non si esclude che la responsabilità dello Stato “possa sorgere sulla base del diritto interno”, ma a livello giuridico sovra-nazionale non è questo il caso.
Cosa può fare allora l’Ue, per la tutela dei cittadini e della loro salute? Mettere pressione agli Stati, attraverso procedure d’infrazione come quelle avviate contro otto Stati membri nel 2018, o quella portata avanti nei confronti dell’Italia, che ora incorre al rischio di multe salate.