Bruxelles – Poche azioni specifiche a livello Ue, e ancor meno risorse per un settore, quello delle tecnologie marittime, per cui la transizione sostenibile inscritta nel Green Deal richiede “un cambio di paradigma” di quelli non facili. Serve maggiore attenzione ad un settore che riconosciuto strategico, e servono risorse. Il Comitato economico e sociale europeo (Cese), quando si parla di navigabilità ‘green’, e dunque spostamenti via mare e via fiume, è dell’idea che servano “investimenti immediati in tal senso, ad esempio attraverso l’istituzione di un apposito Fondo marittimo dell’Ue”. L’organismo consultivo dell’Unione europea produce un parere sulla strategia per il settore, in cui evidenzia ritardi e criticità da affrontare, a cominciare da quella finanziaria.
“Le limitate infrastrutture e disponibilità di combustibili alternativi ostacolano un passaggio più rapido” verso la sostenibilità dei trasporti marittimi e del settore marittimo in generale. Un nodo da sciogliere se si vuole un’agenda europea verde all’altezza degli obiettivi e delle ambizioni dichiarati. “Il settore europeo delle tecnologie marittime costituisce una pietra miliare per il conseguimento degli obiettivi politici dell’Ue in termini di Green Deal europeo ed economia blu”, insiste il Cese, nel ricordare come rendere eco-compatibile il comparto non sia una cosa da poco. Anzi.
Sostenibilità vuol dire navi meno inquinanti, con motori di nuova generazione e di più nuova tecnologia, sistemi di alimentazione alternativi al gasolio, per un parco imbarcazioni molto, troppo variegato. Per agire in modo davvero efficace, “andrebbero considerate le caratteristiche specifiche di ciascun tipo di nave, con tabelle di marcia specifiche per i sistemi di propulsione, i combustibili e le tecnologie a zero emissioni”. Uno sforzo industriale notevole, che rischia di diventare un rompicapo della politica. Perché se l’Unione europea vuole davvero conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo, “dovrà aumentare in modo significativo la sua capacità industriale per le energie rinnovabili marine offshore e per altri combustibili alternativi”. Altrimenti, avverte il Cese, “l’Ue dovrà fare affidamento sulla capacità estera per sviluppare questo mercato strategico”.
Sullo sfondo c’è la questione dell’indipendenza strategica. L’Ue che sulla scia del conflitto russo-ucraino intende imprimere un’accelerazione alla transizione verde per sottrarsi una volta per tutte da fornitori stranieri, rischia di non essere autosufficienti su un altro fronte, quello che ruota attorno alla cantieristica. Indiziato numero: la Cina. “L’Ue potrebbe diventare completamente dipendente dall’Asia per le sue navi e per le attrezzature marittime e offshore”.
Il Comitato economico e sociale europeo, consapevole della posta in gioco, suggerisce di ripensare anche il meccanismo Ets dell’Ue. “I proventi ricavati dal sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue siano utilizzati per contribuire a finanziare anche il settore del trasporto per vie navigabili”, riducendo così l’impegno finanziario necessario per il fondo speciale comunque richiesto perché considerato appropriato per le sfide del settore. Inoltre esorta la Commissione a “qualificare immediatamente il settore strategico delle tecnologie marittime e le sue attività come ‘infrastrutture critiche’” e definire un programma dell’Ue per il rinnovo della flotta e l’ammodernamento delle imbarcazioni esistenti, “in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo”.