Bruxelles – Una nuova organizzazione europea che difenda e valorizzi la produzione agricola dei Paesi membri e tutta la filiera agro-alimentare, per coinvolgere i consumatori e trasmettere loro “il valore complessivo del food”. Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, ha presentato ieri al Global Food Forum, kermesse organizzata da Farm Europe a Bruxelles, l’associazione “Eat Europe”, alla quale aderiscono Coldiretti, Filiera Italia e la stessa Farm Europe: “una nuova forma di rappresentanza, che parli con una singola voce, con dati, studi, valutazioni di impatto e certezze scientifiche”, contemporaneamente ai cittadini e ai decision makers. Ai cittadini, per “spiegare quanto è essenziale la filiera agro-alimentare europea”, e alla politica, “che deve potenziare ulteriormente la produzione agricola perché è l’unica risposta alle sfide di sostenibilità alimentare globale”.
Nella due giorni organizzata dal think thank europeo sulle economie rurali, presenti politici e stakeholders del mondo dell’agrifood per discutere di ciò che è necessario imparare dopo due anni di crisi, dalla pandemia alla guerra in Ucraina, che hanno inciso profondamente su tutto il settore agroalimentare. Con il dito puntato sulla crisi di un modello, quello del mercato globalizzato, che secondo Scordamaglia “ha fallito definitivamente”. Per rispondere alle tensioni generate dal conflitto in Ucraina, ben 73 Paesi nel mondo hanno imposto restrizioni alle esportazioni: “l’inaffidabilità causata dall’esposizione dei mercati alimentari a speculazioni finanziarie e a condizionamenti geopolitici spinge sempre più a riconsiderare quel modello”, sostiene il neo presidente di Eat Europe. Al centro del modello che porta avanti Eat Europe ci sono gli agricoltori, i “veri protagonisti” dell’intera filiera: come ribadito da Coldiretti e Filiera Italia al vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, Frans Timmermans“qualsiasi politica di rilancio e di sostenibilità deve essere fatta con gli agricoltori, non contro di essi”.
Principio che non sarebbe rispettato né adottando il sistema di etichettatura del Nutriscore, né promuovendo la produzione di cibi sintetici. Perché il Nutriscore, l’etichetta a scala cromatica dei prodotti alimentari sostenuta in primis da Francia e Germania, sarebbe solo la “punta di un iceberg che nasconde interessi per il cibo ultra-processato, chimico, e ora soprattutto sintetico, lontano dalla terra”. Sotto la superficie, afferma Scordamaglia, “ci sono 4-5 multinazionali del cibo sintetico che si avvantaggiano di tutto questo, spinte dalla recente decisione della Food and drug Administration di approvare la prima carne sintetica negli USA”. Multinazionali che, alla COP27 tenutasi a Sharm el-Sheik dal 6 al 18 novembre, hanno insistito che la produzione di cibo in laboratorio rappresenta la soluzione al problema dell’insicurezza alimentare.
All’opposto, per Eat Europe “il cibo non sarà mai mera soddisfazione fisiologica di una serie di ingredienti chimici che devono essere apportati”, ma è “cultura millenaria, tradizione”. La nuova organizzazione si vuole porre come interlocutore fondamentale per Bruxelles, “che non rappresenta singole parti e che parlerà con la forza dei dati e dei numeri, non tramite appelli ideologici”, anche ai cittadini e ai consumatori”. L’Europa, che ha già cofinanziato alcune start-up del cibo sintetico, è in un momento decisivo: “ci vuole un ripensamento importante – ha affermato il neo presidente di Eat Europe-, prima degli interventi sulla filiera”.