Bruxelles – Il 2022 sarà ricordato come un anno di svolta per le ambizioni dell’Unione Europea per tracciare una strada comune nel settore della difesa e della sicurezza. Il 21 marzo la Commissione ha presentato la Bussola Strategica per la difesa comune 2030, seguita due mesi più tardi da un’analisi delle lacune sulla spesa dei 27 Stati membri. L’obiettivo è quello di una convergenza verso gli acquisti congiunti e la creazione di una forza comune di intervento rapido da dispiegare in casi di crisi. Dopo l’intervento alla nona edizione dell’evento annuale “How can we govern Europe?” a Roma, l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle ed ex-vicepresidente del Parlamento Ue Fabio Massimo Castaldo ha spiegato in una lunga intervista concessa a Eunews come dovrebbe impostarsi la strategia dell’Unione per favorire la cooperazione su scala europea e per affrontare gli ostacoli a un esercito comune.
Su quali perni dovrebbe essere costruita l’Unione della difesa e della sicurezza?
“L’Unione Europea ha bisogno di una maggiore integrazione nella politica della difesa e della sicurezza per rispondere alle molteplici sfide dell’attuale contesto geopolitico. Guardare al passato di un’Europa delle piccole nazioni ci renderebbe deboli e alla mercé delle grandi potenze globali. Per evitarlo, ritengo essenziale che i regolamenti in discussione al Parlamento Europeo supportino la ricerca di un’autonomia strategica aperta, senza porre barriere ideologiche che vadano a svantaggiare alcuni Paesi, favorendone invece altri. Siamo di fronte a un bivio storico per l’Europa della difesa ed è indispensabile che si agisca mettendo al primo posto l’interesse europeo, non quello partigiano, utilitaristico e orientato a guadagni di breve periodo delle singole capitali”.
La Commissione Ue ha evidenziato che una delle criticità riguarda la percentuale di acquisizioni di capacità militari congiunte tra Paesi membri, solo l’11 per cento rispetto al 35 concordato.
“Questo elemento è estremamente dannoso per l’intero impianto dell’Europa della difesa, sia dal lato economico sia da quello industriale, perché crea ulteriore frammentazione della base industriale europea e inefficienze legate alla mancata fruizione dei benefici derivanti dalle economie di scala che esisterebbero qualora si agisse in maniera coordinata tra le varie forze armate nazionali”.
Come si può agire a livello europeo per ri-orientare gli Stati membri verso uno sforzo di convergenza al lavoro comune?
“Proprio per dare una risposta efficace a questa problematica, la Bussola Strategica auspicava la creazione di una serie di incentivi economici dedicati a stimolare le acquisizioni di capacità militari (procurement) congiunte. Questa volontà si è poi concretizzata con la presentazione da parte della Commissione del regolamento European Defence Industry Reinforcement through common Procurement Act (Edirpa), che mette a disposizione 500 milioni di euro per il periodo 2022-2024 come incentivi per le attività di procurement congiunto tra gli Stati membri. Questa proposta è attualmente al vaglio del Parlamento e del Consiglio dell’Ue”.
Qual è il valore di questo regolamento?
“Al di là delle limitate risorse economiche messe a disposizione, Edirpa ha una grande valenza politica perché funge da precursore del futuro European Defence Investment Programme (Edip), che dovrebbe essere dotato di fondi ben più considerevoli. Ritengo che questi strumenti possano giocare un ruolo fondamentale nello stimolare l’appetito degli Stati membri e delle varie industrie della difesa nazionali verso una maggiore europeizzazione della base industriale e delle capacità militari. Ma sarà necessario che vengano concepiti nel modo corretto, perché possano adempiere a questi scopi, e che tanto il regolamento di Edirpa, quanto quello futuro di Edip, siano indirizzati a favorire una vera cooperazione su scala europea, scongiurando il rischio che essi finiscano per supportare iniziative bilaterali o mini-laterali”.
È possibile pensare all’orizzonte di un esercito europeo coordinato con la Nato, al posto di 27 eserciti nazionali?
“Qualche passo concreto in questo senso è già previsto nella Bussola, in particolare la creazione di una Forza europea di reazione rapida. A mio avviso sarebbe però più opportuno ritornare all’ambizione degli Helsinki headline goals e puntare quindi a 50/60 mila soldati, rispetto ai 5/6 mila definiti nella Bussola. Quello della realizzazione di un esercito comune europeo rappresenta un obiettivo a cui dobbiamo ambire nel lungo periodo, ma va costruito tassello dopo tassello e inquadrato nell’ottica di una stretta collaborazione transatlantica. Dobbiamo dare concretezza all’adagio a stronger Europe for a stronger NATO”.
Quali sono gli ostacoli al momento?
“Pur avendo ben chiaro come sia necessario un maggior coinvolgimento dell’Unione Europea nelle dinamiche internazionali – che possa portare a un riequilibrio delle relazioni in seno all’Alleanza Atlantica in ottica cooperativa e basato su una divisione dei compiti e delle aree di competenza – non possiamo non constatare come vi siano ancora molteplici ostacoli a un esercito comune europeo. Il primo riguarda l’assetto di decision making interno all’Ue, soprattutto nel campo della politica estera, che rimane ancora troppo incentrato su un’ottica intergovernativa, come dimostrato dal requisito dell’unanimità in sede di Consiglio. Occorrerà superare questa configurazione, muovendosi verso un processo decisionale che preveda il voto a maggioranza qualificata e, in seguito, procedendo con una sempre più pervasiva integrazione europea in senso federale. Oltre a queste problematiche di carattere politico, ve ne sono altre di carattere più pratico”.
“Le capacità militari di nuova generazione sufficienti a garantire la nostra difesa territoriale, l’ancora insoddisfacente livello di interoperabilità tra le varie forze armate nazionali, o l’assenza di una cultura strategica comune. L’Unione si è già attivata per porre rimedio a queste carenze con diverse iniziative lanciate nel corso degli ultimi anni: dal Fondo Europeo per la Difesa (Edf) e i suoi precursori (Edidp e Padr), a Edirpa e il futuro Edip. Ritengo che sia necessario continuare in questa direzione, muovendosi passo dopo passo per costruire i prerequisiti necessari al raggiungimento dell’obiettivo di lungo periodo, ossia una maggiore integrazione nel settore della difesa. Solo così potremo, un giorno, ambire a creare un vero e proprio esercito europeo”.
Quali sono i punti di forza della Bussola Strategica 2030 presentata dalla Commissione?
“Il principale obiettivo della Bussola Strategica era quello di fissare un livello di ambizione elevato per l’azione esterna dell’Ue, dando concretezza e proponendo indicatori tangibili per misurare i progressi nella realizzazione delle linee guida già contenute nella Strategia Globale del 2016. Tutto ciò in un orizzonte di tempo ragionevolmente breve, ma comunque compatibile con le complessità che si dovranno affrontare. Ritengo che il principale punto di forza risieda nell’approccio tenuto durante la sua elaborazione. Per la prima volta le istituzioni Ue hanno deciso di partire dalle prerogative degli Stati membri che, attraverso un’analisi delle minacce condotta a livello nazionale, hanno fornito al Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) una propria panoramica dettagliata dei rischi alla sicurezza. Il Seae ha poi analizzato i punti di convergenza e ha proposto azioni concrete a livello europeo, mettendo in risalto come tutte queste minacce possano essere affrontate esclusivamente a livello unionale. È stato così delimitato un ampio perimetro, all’interno del quale gli Stati membri saranno più propensi a sviluppare risposte congiunte, dando un più ampio respiro all’azione esterna dell’Unione”.
Vede anche dei punti di debolezza?
“Questo esercizio rischia di scontrarsi con l’atavica riluttanza degli Stati membri a cedere sovranità proprio in due aree che da sempre connotano e qualificano lo Stato moderno, ossia la politica estera e quella di difesa. Qui potrebbe insinuarsi l’elemento di debolezza della Bussola Strategica: in assenza di una riforma dell’assetto decisionale dell’Ue in senso sovranazionale, l’intero esercizio rischia di vedere ridotta la propria capacità d’incidere sulla politica estera europea. Se vogliamo sfruttare appieno tutto il potenziale della Bussola Strategica, sarà necessario rivedere il funzionamento dell’Unione stessa con una riforma dei Trattati”.
Intanto l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha parlato di aumentare di 70 miliardi la spesa militare dei Ventisette al 2025.
“Occorre contestualizzare la dichiarazione, per comprenderne appieno il significato. L’alto rappresentante ha parlato di un incremento delle spese per la difesa di 70 miliardi di euro complessivi, ossia come sommatoria delle singole spese nazionali dei 27 Stati membri dell’Unione. Allo stesso modo, il messaggio si è concentrato sulla necessità di agire in maniera coordinata, evitando quindi di incrementare ulteriormente la già esistente frammentazione degli investimenti nel settore della difesa e la competizione tra gli Stati. Da ultimo, ha ribadito la necessità di indirizzare questi investimenti verso l’acquisizione o la realizzazione delle capacità di cui si registra una carenza su scala europea. Secondo uno studio del Servizio ricerche del Parlamento Ue, il costo di una ‘non-Europa’ – il perdurare della frammentazione negli investimenti nel settore della difesa – si attesta intorno ai 26 miliardi di euro annui, una cifra esorbitante che potrebbe essere minimizzata attraverso un approccio veramente cooperativo”.
Qual è l’orizzonte di questo approccio?
“Ritengo che l’approccio cooperativo sia una priorità non procrastinabile. Solo muovendosi verso l’europeizzazione del settore della difesa si possa contrastare la tendenza di alcuni Stati membri – su tutti la Germania, che ha già annunciato un fondo speciale da 100 miliardi di euro per l’acquisizione di capacità militari – a muoversi unilateralmente con il risultato di aggravare ulteriormente la situazione descritta. L’obiettivo dell’Unione è e rimarrà quello di essere un attore internazionale che pone al centro del suo operato il rispetto e la difesa del diritto internazionale e dei diritti umani, e nessun aumento delle spese militari lo cambierà mai”.
Tutto ciò ha un impatto anche sui rapporti con la Russia e sulla guerra in Ucraina?
“Per quanto riguarda le recenti tensioni con la Russia, la cui attuale leadership politica rimane l’unica responsabile della guerra d’invasione che sta perpetrando nei confronti dell’Ucraina, ribadisco che l’Unione Europea dovrebbe farsi promotrice di iniziative di dialogo serie e strutturate, che favoriscano una soluzione negoziale del conflitto. Questa soluzione però dovrà basarsi su alcuni punti per noi irrinunciabili, come il rispetto dell’integrità e della sovranità territoriale dell’Ucraina”.