Roma – Integrazione o non integrazione? L’Europa della difesa non ha mai saputo rispondere ad un quesito politico di amletica natura, e il conflitto russo-ucraino se da una parte sembra aver dato nuovo impulso ad un processo vittima tentennamenti dall’altra parte rischia di assestare il colpo di grazia ad un’Unione con l’esigenza di rispondere a sfide tutte nuove con ritardi che complicano l’agenda a dodici stelle di fronte a una Storia che si è rimessa in moto troppo velocemente. Ci sono criticità a cui far fronte non sembra essere possibile. “La bussola strategica offre una grande opportunità per la sicurezza dell’Unione europea, ma serve la volontà di agire“. E’ questo, secondo il direttore esecutivo dell’Agenzia europea per la difesa (Eda), Jiri Sedivi, il punto chiave da sciogliere, sostiene in occasione della nona edizione di How Can We Govern Europe.
“L’aggressione della Russia all’Ucraina dimostra l’importanza di avere un’industria effervescente e aumentare i budget nazionali”, sostiene Sedivi. Eppure, complice anche la pandemia di Coronavirus che ha rimescolato le carte del bilancio comune, le risorse del Fondo europeo per la difesa sono dimezzate, passando da 13,5 miliardi di euro a 7 miliardi. Inoltre “dobbiamo ridurre la frammentazione esistente nel mercato della difesa”, rileva Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare del Movimento 5 Stelle e membro della commissione Affari esteri del Parlamento europeo. Il pentastellato, già vicepresidente dell’istituzione Ue, è dell’idea che “la fase storica che stiamo vivendo è per certi aspetti costituente per l’Europa della difesa“. Gli eventi dell’Ucraina “dovrebbero farci tornare ai livelli di ambizione che abbiamo conosciuto in passato”, e risolvere il costo della non-Europa delle difesa che “si attesta ogni anno a 26 miliardi di euro, che potremmo reinvestire”.
Le cose però sembrano muoversi diversamente, contesta Pietro Batacchi, direttore della Rivista italiana difesa. “Oggi siamo nel momento peggiore dell’integrazione europea della difesa“, ribatte, sostenendo che la guerra in Ucraina “non è il motore” di un rilancio delle ambizioni di un’integrazione della difesa europea. Come spiega, il conflitto “sta innescando un meccanismo di urgenza nella percezione dei nostri politici rispetto al quale c’è una potenza esterna, gli Stati Uniti, con il sistema d’arma già pronto che tutti corrono ad acquistare”. All’interno del blocco dei Ventisette “la Polonia sta diventando il bastione americano in Europa, che sta macinando commesse Usa su commesse, e che acquista in Corea del sud piuttosto che scegliere europea”. Inoltre, rileva ancora, “la Germania lancia un’iniziativa di rilevante importanza strategica per la difesa antimissile anti-aerea pluri-strato che comprende il Patriot, che è americano, e sullo strato alto si potrebbe andare a pescare in Israele, con Arrow3“. Quella tedesca è “un’iniziativa che è devastante”. Sull’Europa della difesa, dunque, “oggi siamo nel momento più critico”.
Scelte politiche e di politica industriale fatte e prese tradiscono dunque tutti gli sforzi compiuti finora, ultimo tra tutti il regolamento Edirpa per la creazione di appalti congiunti in materia di difesa. Giovanni Ghini, presidente di Anpam, l’associazione di produttori di armi e munizioni a uso civile che fa parte di Confindustria, rileva il “problema di legislazione europea” che deriva dal regolamento reach sulle sostanze chimiche. Questo, denuncia, “impedisce l’utilizzo del piombo per le munizioni”. L’agenzia europea per la chimica (Echa) ha offerto rassicurazioni, che per il gruppo e la filiera “non sono vere” e risultano “molto superficiali a livello di studi”. Va cambiata la rotta, in tal senso Anpam ha chiesto una moratoria di dieci anni, “perché abbiamo un problema nella sostituzione del piombo”, che “produciamo al 50 per cento” in Europa, ma per cui “dipendiamo dall’estero per l’altro 50 per cento”. Ne deriva che “se ci spostiamo su materiali alternativi diventiamo dipendenti al 98 per cento dalla Cina”, soprattutto “se passiamo dal piombo all’acciaio. Tungsteno e bismuto non possono sopperire in tempi rapidi”.
L’Europa della difesa è ancora un cantiere aperto, e in ritardo con i lavoro. “La bussola strategica è un ottimo punto di partenza” ma nulla di più, nella misura in cui da sola non basta, rileva Karolina Muti, ricercatrice dello Iai per i Programmi sicurezza e difesa. Anche perché “le competenze in materia di difesa non si improvvisano, serve tempo per arrivare a queste competenze che servono”. C’è anche un altro dato. “Gli investimenti degli Stati in progetti cooperativi non sono aumenti negli ultimi anni”, rileva la ricercatrice dell’Istituto affari internazionali. “Gli Stati hanno sì aumentato le spese per la difesa, ma non tutti hanno veicolato questi investimenti aggiuntivi per rafforzare la base industriale e tecnologica. Questa è una criticità”.
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