Bruxelles – Non solo tetto al prezzo del gas. In Europa è stallo anche sul tetto al prezzo del greggio russo. Dopo l’accordo politico di principio sul tetto al prezzo del petrolio russo deciso nell’ottavo pacchetto di sanzioni, gli ambasciatori dei 27 stati membri fanno ora fatica a trovare un’intesa sulla fascia di prezzo oltre la quale vietare il trasporto globale via mare del greggio di Mosca verso Paesi terzi. Si è chiusa con un sostanziale nulla di fatto la riunione degli ambasciatori dei 27 convocata nel tardo pomeriggio di oggi (28 novembre) con stretto preavviso per cercare di fare passi avanti sulla questione che vede di nuovo spaccarsi i governi.
E’ nel contesto del G7 (che riunisce oltre all’Unione europea, Canada, Francia, Germania, Giappon e, Italia, Regno Unito e USA) che le sette economie più ricche al mondo hanno concordato all’inizio del mese di settembre in linea di principio di introdurre un tetto massimo globale sul prezzo del petrolio russo trasportato verso i Paesi terzi, nell’ottica di impedire alla Russia di continuare a trarre profitto dalla guerra di aggressione in Ucraina e di sostenere la stabilità dei mercati energetici globali. Dopo l’accordo di principio al G7,è servita l’unanimità dei governi per dare via libera all’ottavo pacchetto di misure restrittive contro la Russia e ora serve l’accordo dell’intera coalizione sulla cifra.
A quanto si apprende, una decisione doveva essere presa già la settimana scorsa nella riunione di venerdì del comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue, che poi è saltata proprio per l’incapacità di mettersi d’accordo. La scorsa settimana la Commissione europea, in accordo con il governo statunitense, ha proposto un limite di prezzo tra i 65-70 dollari al barile, ma la cifra di riferimento ha messo d’accordo principalmente un gruppo di quattro Paesi, anche se per ragioni opposte. Le riserve maggiori, a quanto riferiscono fonti diplomatiche a Bruxelles, sono della Polonia che punta a ottenere una cifra molto più bassa insieme ai Paesi Baltici, mentre Grecia, Cipro e Malta, che fanno enormi profitti con il trasporto del petrolio russo, hanno insistito per fissare un “cap” molto più alto, per non esserne danneggiati. Per andare incontro alle riserve, nella riunione di oggi sul tavolo dei governi c’era un tetto più basso, a 62 dollari a barile, che a quanto riferiscono le stesse fonti per ora non è riuscito nell’intento di sbloccare lo stallo.
Prima della riunione straordinaria del Coreper, sono andati avanti i colloqui con i Paesi che hanno sollevato le riserve. Quella che è appena cominciata sarà una settimana decisiva per trovare un accordo e i tempi stringono. I governi Ue avevano già deciso nel sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca adottato a inizio giugno di tagliare entro la fine del 2022 il 90 per cento delle importazioni russe di petrolio in arrivo nel continente europeo, attraverso un embargo su tutto il petrolio in arrivo via mare e un impegno di Germania e Polonia a tagliare anche le proprie importazioni attraverso l’oleodotto Druzhba, che è rimasto esentato dall’embargo per andare incontro alle richieste del premier ungherese Viktor Orbán. L’embargo europeo sul greggio russo entrerà in vigore dal 5 dicembre ed è la stessa data di scadenza che hanno i governi per mettersi d’accordo anche sul tetto al prezzo del petrolio via mare.