Bruxelles – Un dibattito dai toni tutt’altro che concilianti, quello andato in scena oggi (22 novembre) al Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo sulle relazioni Ue-Cina. L’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ha aperto la seduta presentando il nuovo testo, redatto dal Consiglio affari esteri lo scorso 17 ottobre, che spiega la posizione ufficiale dei 27 ministri sul rapporto con il gigante asiatico: in sintesi, la riconferma di quell’approccio realistico adottato nel 2019, secondo cui il vecchio continente “non può pensare di costruire un futuro senza tener conto dell’enorme forza di un Paese che è chiamato a svolgere nel mondo il ruolo che gli spetta, per le sue dimensioni e per la sua forza economica, indipendentemente dal fatto che abbia un sistema politico diverso dal nostro”.
Che in altre parole significa: cooperazione e competizione economica, pugno fermo sui diritti umani, riduzione della dipendenza strategica sulle materie prime, e soprattutto maggiore unità europea sul tema. Ma se Borrell pensava di trovare una comunione di vedute nell’emiciclo di Strasburgo, torna a casa a mani vuote: “Dov’è l’unità sul dialogo con la Cina?”, ha tuonato l’alto rappresentante dopo aver ascoltato gli interventi degli europarlamentari in aula.
Tra chi ha accusato le istituzioni Ue di complicità con il regime cinese, chi all’opposto di essere “i tirapiedi di Washington”, chi ha invocato un maggior pragmatismo nel rapporto con Pechino e chi invece ha chiesto di tagliare le relazioni con il sistema comunista del presidente Xi Jinping, il Parlamento è parso più spaccato che mai. Per questo, su un tema che “risente sicuramente di condizionamenti ideologici”, Borrell ha chiesto maggiore realismo. “Scambiamo con la Cina beni per un valore di quasi 2 miliardi di dollari al giorno”, ha ricordato il capo della diplomazia europea, “il decoupling dall’economia cinese non può essere un opzione”.
Le questioni più dibattute sui rapporti sino-europei sono state essenzialmente due: il rischio che le relazioni con il colosso cinese si riducano a una dipendenza europea nell’approvvigionamento di materie prime fondamentali per la transizione energetica e le norme di Pechino in materia di diritti umani e del lavoro. La Cina copre oggi circa il 90 per cento della domanda europea di terre rare, e l’80 per cento dei pannelli solari utilizzati in territorio Ue è di produzione cinese: la Commissione Ue ha annunciato che presenterà una legge sulle materie prime, che dovrebbe aumentare “la resilienza interna” e evitare che “le dipendenze si trasformino in vulnerabilità”. Materie prime e semiconduttori, secondo Borrell, “rappresentano la battaglia tecnologica fondamentale nella competizione economica del ventunesimo secolo”.
Alla presidente della sottocommissione per i diritti dell’uomo dell’Europarlamento, Maria Arena, che lo incalzava sui “lavori forzati, il regime di sorveglianza e le sanzioni agli oppositori politici” perseguiti dal governo di Xi Jinping, Josep Borrell ha risposto: “A settembre la Commissione ha presentato la proposta di regolamento che vieta l’ingresso in Ue di merci provenienti da lavoro forzato, regolamento che da allora sta aspettando l’approvazione di quest’aula”.Dal dibattito tenutosi al Parlamento europeo, appare ancora difficile immaginare un approccio unitario dell’Unione europea al dialogo con la Cina. Dialogo che non può prescindere, in ogni caso, dall’alleato a stelle e strisce, anche se Borrell rivendica maggiore indipendenza: “Gli Stati Uniti sono i nostri alleati più importanti, ma in alcuni casi la loro posizione sulla Cina è diversa dalla nostra”. Per portarla avanti però, ancora una volta, serve unità europea, “perché quello che succederà nella nostra relazione con la Cina segnerà il ventunesimo secolo”.