Bruxelles – Un immigrato irregolare affetto da malattie gravi non può essere espulso né rimpatriato, se questo comporta implica una peggioramento delle condizioni di salute. La Corte di giustizia dell’Ue richiama i Ventisette all’ordine, innanzitutto giuridico: il diritto dell’Unione va contro decisioni nazionali che, anche in presenza di cittadini di Paesi terzi irregolarmente su suolo europeo, non tengono conto del quadro clinico della persona.
Attenzione, però. Il principio non è sempre valido. Il rimpatrio va evitato solo in caso di produzione di una situazione peggiorativa. Se l’allontanamento, invece, non pregiudica le cure e le attenzioni mediche del caso per la riduzione del dolore, allora la persona può essere espulsa. Questa condizione, dunque, presuppone, in particolare, che “sia accertato che nel Paese di destinazione non possa essere legalmente somministrata l’unica terapia analgesica efficace e che la mancanza di tale terapia lo esporrebbe a un dolore di tale intensità da essere in contrasto con la dignità umana in quanto potrebbe provocargli disturbi psichici gravi e irreversibili, o addirittura condurlo al suicidio”.
Gli Stati membri, nella gestione del caso specifico, possono anche darsi dei tempi per prendere condurre gli accertamenti richiesti dai giudici di Lussemburgo. Ad ogni modo, “qualora gli Stati membri fissino un termine,
quest’ultimo deve essere puramente indicativo e non può dispensare l’autorità nazionale competente da un esame
concreto della situazione della persona interessata”.