Bruxelles – Il biasimo dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nei confronti di Kosovo e Serbia non è mai stato così diretto e veemente. “Informerò gli Stati membri, i ministri degli Esteri e i nostri partner del comportamento non costruttivo delle parti e della totale mancanza di rispetto per i loro obblighi legali internazionali, in particolare del Kosovo“, è il commento rilasciato al termine di una riunione d’emergenza che sarebbe dovuta essere decisiva per mettere fine all’escalation di tensione alla frontiera tra i due Paesi.
E invece, davanti al “livello di tensione più pericoloso dal 2013” – come lo stesso alto rappresentante Borrell lo aveva definito pochi giorni fa – il vertice di alto livello di oggi (lunedì 21 novembre) a Bruxelles con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, ha inviato “un segnale politico molto negativo”. Convocato ieri (domenica 20 novembre) dopo una settimana di lavoro intenso tra i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado, la riunione di emergenza avrebbe dovuto portare a una “de-escalation della situazione”, chiudendo la politica di “gestione permanente della crisi” e iniziando a “progredire verso la normalizzazione delle relazioni”, aveva messo in chiaro Borrell. “Si trattava di una responsabilità di entrambi i leader”, ma “purtroppo oggi non hanno trovato un accordo per una soluzione”, sono le parole prive di speranza dopo l’ultimo incontro tra i due leader balcanici.
Mentre il tempo stringe nel nord del Kosovo sulla questione della re-immatricolazione dei veicoli con targa serba, l’attacco da parte di Bruxelles è durissimo: entrambi i leader “si assumono la piena responsabilità per il fallimento dei colloqui di oggi e per qualsiasi escalation e violenza che potrebbe verificarsi sul terreno“. Nel corso della riunione l’alto rappresentante Borrell e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, hanno presentato “una proposta che avrebbe potuto risolvere la situazione che il presidente Vučić ha accettato, mentre il primo ministro Kurti non l’ha fatto“. Anche senza un accordo, l’alto rappresentante Borrell ha chiesto con particolare forza – ripetendolo intenzionalmente due volte – al Kosovo di “sospendere immediatamente ulteriori tappe della re-immatricolazione dei veicoli” – e alla Serbia di “sospendere l’emissione di nuove targhe con le denominazioni delle città del Kosovo, incluse le targhe KM” (acronimo di Kosovska Mitrovica).
Risulta chiaro dalle parole di Borrell che però è soprattutto Pristina a non essere disposta a fare passi indietro sul piano a tappe per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe presentato lo scorso 28 ottobre: a chi non si adeguerà – dopo i primi 21 giorni di novembre con un solo avvertimento – da domani (22 novembre, con una proroga di un giorno decisa ieri) e il 21 gennaio sarà emessa una multa e tra il 21 gennaio al 21 aprile sarà applicata una targa temporanea. Dal 21 aprile in poi l’entrata in vigore sarà invece definitiva e i veicoli non conformi saranno sottoposti a sequestro.
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Le tensioni tra Serbia e Kosovo
Le tensioni crescenti sono legate agli eventi nel nord del Kosovo dopo l’introduzione del piano graduale del governo di Pristina sulle targhe. Il principale partito che rappresenta la minoranza serba in Kosovo, Lista Srpska, ha deciso di far dimettere sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali, denunciando la “violazione del diritto internazionale” e la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo (comunità di municipalità a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia).
La situazione è “ancora peggio di agosto”- quando si era riaccesa la disputa – dal momento in cui “meno di 50 poliziotti kosovaro-albanesi stanno gestendo la situazione, e certamente non sono abbastanza”, ha avvertito Borrell: “Questo crea un vuoto di sicurezza sul campo molto pericoloso in una situazione di fragilità evidente“. Nemmeno la presenza della missione dell’Ue Eulex e della forza militare della Nato Kosovo Force (Kfor) è sufficiente, perché “non possono prendere il posto della polizia locale, non è nel loro mandato”. Ed è per questo che l’appello continuo di Bruxelles è quello del “ritorno della minoranza serba nelle rispettive istituzioni del Kosovo” e alla distensione del clima da parte di Belgrado.
Pristina è invece chiamata mettere fine alla sua posizione intransigente e lasciare spazio a un compromesso più ampio, che chiuda oltre 10 anni di mediazione diplomatica dell’Ue. È per questo che domani (martedì 22 novembre) i ministri italiani degli Esteri, Antonio Tajani, e della Difesa, Guido Crosetto, saranno in visita nei due Paesi balcanici per incontrare gli omologhi e i leader che oggi non hanno trovato un’intesa, mettendo in campo tutto il peso politico che l’Italia possiede sulle prospettive di integrazione della regione nell’Unione. Nel frattempo Francia e Germania spingeranno sulla proposta di mediazione che Borrell ha definito “una bussola di due pagine” e che dovrebbe fornire un nuovo orizzonte per i rapporti tra Serbia e Kosovo. Ma oggi le speranze di una de-escalation sono appese solo a un filo, come è apparso dal volto quasi sconsolato di Borrell al termine del punto con la stampa.