Bruxelles – È solo la prima bozza della relazione della commissione Pega del Parlamento Europeo, ma l’attacco diretto ai Ventisette sull’uso di sistemi per la sorveglianza di cittadini, giornalisti e oppositori politici è già durissimo: “Abbiamo domande da porci come comunità di valori, anche se non lo ammettono, tutti gli Stati possiedono, usano o esportano spyware“. A lanciare le accuse contro i Paesi membri e la Commissione (definita “troppo silenziosa quando gli attacchi alla democrazia arrivano dall’interno dell’Unione”) è la relatrice Sophie in ‘t Veld (Renew Europe), nel corso di una conferenza stampa che non ha lasciato nulla di non detto.
“C’è ancora molto lavoro da fare, avremo tempo fino a marzo, probabilmente con un’estensione fino a giugno“, per portare a termine le indagini e il rapporto della commissione d’inchiesta dell’Eurocamera incaricata di esaminare l’uso di Pegasus e di spyware di sorveglianza equivalenti (Pega), istituita nel marzo di quest’anno per fare luce sullo scandalo emerso nel luglio dello scorso anno. Allora l’inchiesta internazionale della rete di giornalismo investigativo Forbidden Stories aveva rivelato l’utilizzo da parte di 50 Paesi in tutto il mondo di questo spyware per hackerare oltre 50 mila numeri di telefono, tra cui anche il governo ungherese di Viktor Orbán. Dopo più di sei mesi di lavoro in commissione Pega e sul campo, sono emersi i primi risultati. “Nessuna autorità si è mostrata intenzionata a collaborare, abbiamo dovuto lavorare con fonti open source e con pochissime ufficiali”, ha riportato alla stampa oggi (martedì 8 novembre) l’eurodeputata olandese. In ogni caso “abbiamo 900 pezzi su 1000 di questo puzzle, anche se non completa, possiamo vederne chiaramente l’immagine”.
La situazione dell’uso di spyware nell’Ue
E l’immagine sembra essere più tetra di quanto si potesse immaginare finora. “L’Europa offre condizioni eccellenti alle industrie che lavorano nel campo degli spyware, abbiamo anche facilitato l’esportazione verso Libia, Egitto e Bangladesh dove sono stati usati per violare i diritti umani“, è l’affondo di in ‘t Veld, prima di passare passare in rassegna i capitoli specifici degli Stati membri nella bozza di rapporto. In Polonia e Ungheria gli spyware “sono elementi integrati in un sistema disegnato per controllare e opprimere opposizioni, cittadini e giornalisti critici, ed è messo in atto metodicamente”. In Grecia “ci sono sviluppi ogni giorno”, ha ricordato la relatrice, sottolineando che nonostante quello di Atene “non sia un sistema autoritario, vediamo comunque segnali di un uso sistematico e su larga scala come strategia politica“. In Spagna “la situazione è delicata, con forti indicazioni di spionaggio senza minacce evidenti e immediate sulla sicurezza pubblica“, per cui sono state invitate le autorità di Madrid a “fornire informazioni per avere un quadro più completo”.
A Cipro è invece “preoccupante il fatto che si possano esportare spyware così facilmente”, così come “anche in Bulgaria“. In Lussemburgo “i venditori fanno affari”, mentre l’Irlanda “fornisce condizioni fiscali molto attraenti” e Malta è “un luogo accogliente, grazie ai passaporti d’oro”. Italia, Francia e Austria “ospitano produttori di spyware”, la Repubblica Ceca “ogni anno la fiera degli spyware”, Germania, Olanda e Belgio “usano in modo più o meno intensivo sia Predator sia Pegasus”, ha continuato l’europarlamentare liberale. “Tutti comunque sfruttano la scusa della sicurezza pubblica per creare una zona d’ombra dove non vige la legge e su cui non si possono avere informazioni”, rendendo “quasi impossibile per le vittime che chiedono supporto la possibilità di provare di essere stati colpiti” dagli attacchi del proprio Stato.
Sottolineando che “si tratta di una questione europea, che ha conseguenze sulle istituzioni Ue [sia eurodeputati sia membri del gabinetto von der Leyen sono stati spiati attraverso spyware, ndr], sulle elezioni e sulla legislazione comunitaria”, in ‘t Veld ha concluso presentando le prime proposte che potrebbero essere adottate dalla commissione Pega: “Serve una moratoria immediata che può essere eliminata se un Paese membro rispetta quattro condizioni“. I pre-requisiti sarebbero “l’indagine accurata a partire dalle accuse, la prova di un quadro per un uso responsabile, il consenso per investigazioni Europol e l’abolizione delle esportazioni che non superano specifici test”. Si tratta dell’applicazione della legislazione comunitaria: “A oggi la democrazia europea è debole e impotente quando ci sono attacchi dall’interno“.
Di fronte all’affondo durissimo nei confronti degli Stati membri e della Commissione Ue, è dovuto intervenire il presidente della commissione Pega, Jeroen Lenaers (Ppe): “Viste le numerose domande che continuo a ricevere, voglio chiarire che non si tratta di una versione definitiva e non può essere intesa in questo momento come la posizione della commissione nel suo complesso”. Nei prossimi mesi “tutti i membri avranno la possibilità di presentare emendamenti alla bozza di relazione” e “solo la relazione finale e le raccomandazioni adottate rappresenteranno la posizione del Parlamento Europeo”.
Anche da parte del gabinetto von der Leyen è arrivata una risposta alla relatrice nel corso del punto quotidiano con la stampa. “Non pensiamo di essere deboli e impotenti”, ha commentato in maniera asciutta la portavoce Dana Spinant, mentre il collega responsabile per lo Stato di diritto, Christian Wigand, ha ricordato che “la nostra posizione è chiara, ogni tentativo di accedere ai dati dei cittadini illegalmente è inaccettabile e gli Stati membri devono controllare i propri servizi di sicurezza nazionali per tutelare i diritti fondamentali dei cittadini e la protezione dei dati”.