Bruxelles – Pur non essendo mai nominati nella proposta della Commissione, i destinatari della nuova norma Ue per regolare gli affitti mordi e fuggi sono le piattaforme online che propongono alloggi a breve termine, Airbnb su tutte. Tracciabilità e garanzie fiscali: queste le due direttive su cui si muove l’esecutivo Ue per “migliorare la trasparenza nel settore e aiutare le amministrazioni pubbliche a sviluppare un turismo sostenibile e equilibrato”, si legge nella proposta.
Un settore, quello dell’accoglienza turistica, che sul territorio Ue poggia ormai per circa un quarto sugli affitti a breve termine: solo nel primo semestre del 2022, le prenotazioni sono aumentate del 138 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il “Sistema Airbnb” sta portando senza dubbio benefici a proprietari e turisti, ma – secondo la Commissione- è causa di “flussi turistici eccessivi e affitti più cari” per le comunità locali.
Le nuove regole puntano sulla registrazione e sulla condivisione dei dati dei locatori che si appoggiano alle piattaforme online. Chiunque metta a disposizione alloggi a breve termine dovrà registrarsi presso le autorità e chiedere il rilascio di un codice identificativo unico, con l’obbligo di esporlo sulle piattaforme; queste ultime, mensilmente, condivideranno le informazioni sugli affitti tramite un portale digitale. Questa strategia, che prevede l’identificazione dei proprietari e la tracciabilità delle loro attività, permetterà alle amministrazioni pubbliche di vigilare più facilmente sugli oneri fiscali a carico dei locatori.
“Queste norme settoriali integreranno le norme generali della legge sui servizi digitali, che stabilisce una serie di obblighi e requisiti di responsabilità per le piattaforme operanti nell’Ue”, ha dichiarato la vicepresidente esecutiva responsabile per l’Agenda digitale, Margrethe Vestager, sottolineando poi che “grazie a questa proposta” Airbnb e affini “potranno contribuire più facilmente a accrescere la trasparenza del settore degli affitti a breve termine”.
Una volta adottato, previo il via libera di Parlamento e Consiglio europeo, il regolamento della Commissione non lascerà molto margine di manovra agli Stati membri: i governi nazionali avranno a quel punto a disposizione due anni per mettere in pratica i meccanismi necessari allo scambio di dati.