Bruxelles – Nessun pregiudizio, ma neppure alcun trattamento di favore. L’Italia deve fare quello che si rende necessario, perché la Banca centrale europea farà altrettanto. Nella migliore delle ipotesi vuol dire che non si stigmatizza il governo Meloni per ragioni politico-ideologiche, ma se le cose dovessero mettersi male non si andrà in soccorso di quella che resta comunque la terza economia dell’eurozona. Christine Lagarde mette le cose in chiaro. “La Bce farà ciò che deve“. Punto. Evita come di consueto di parlare di singoli Paesi, ma viene incalzata dai giornalisti presenti alla tradizione conferenza stampa di fine lavori. Due domande, due risposte telegrafiche. Con la seconda argomenta la prima. “Non voglio entrare nel merito del dibattito politico in corso in Italia. Ribadisco solo che abbiamo un mandato, che è contrastare l’inflazione e garantire la stabilità dei prezzi“.
Se questo vuol dire aumentare i tassi così da produrre ripercussioni sull’economia reale, a Francoforte non ci si tirerà indietro. La decisione di aumentare di altri 0,75 punti di basi gli indici di riferimento lo dimostra una volta di più. Dal 2 novembre i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale saranno innalzati rispettivamente al 2 per cento, al 2,25 per cento e all’1,50 per cento. Vuol dire rendere più oneroso e complicato l’accesso al credito, e quindi creare problemi a famiglie e imprese. Questo vale anche per l’Italia.
A Roma prendono atto. “Il rialzo dei tassi della Bce era ampiamente previsto”, reagisce il ministro dell’Economia. Giancarlo Giorgetti non fa spallucce, ma cerca di minimizzare su una decisione che se da una parte dà valore al denaro per ridurre quello dei beni, dall’altra penalizza consumi e produzione. L’invito alla “saggezza della Bce nell’interpretare le cause della recente impennata dell’inflazione e nel tener conto del rallentamento in corso nell’economia europea” è comunque una presa d’atto della difficoltà del momento.
Lagarde parla poco all’Italia, in questo momento. Ma non perché non abbia molto da dire. Vero è che ‘scappa’ il richiamo sui conti. In questa fase non facile che porta con sé il rischio di una recessione che a Francorte vedono all’orizzonte, “i governi dovrebbero perseguire politiche di bilancio che dimostrino il loro impegno a ridurre gradualmente gli elevati indici del debito pubblico”. Un passaggio non casuale, visto che nell’Italia del dopo-Draghi è stata ventilata l’ipotesi di uno scostamento di bilancio. Ipotesi esclusa però dalla stessa Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio è al lavoro sulla manovra. Si parte da 23 miliardi di euro, con la maggior parte delle risorse dedicate ad affrontare l’emergenza del caro-bollette. C’è in cantiere una stretta su extra-profitti ed extra-gettito, ma senza aggravare lo stato delle finanze pubbliche.
A Francoforte si lascia che Meloni e la sua squadra lavorino alla legge di bilancio, senza troppi assilli ma pure con qualche piccolo suggerimento, per il bene italiano e dell’intera eurozona. Un altro riguarda la strategia di rilancio economico. “L’attuazione rapida degli investimenti e dei piani di ripresa (Pnrr) possono contribuire all’obiettivo” di risposta alla crisi energetica e crescita. Ecco cos’altro ci si aspetta dall’esecutivo tricolore. Fin qui non c’è stato e non c’è motivo di credere che il nuovo governo abbia cattive intenzioni, e lo si guarda senza pregiudizi. Ma certo, non sembrano esserci sponde solite e certe a Francoforte. Del resto a guidare la Bce non c’è più Mario Draghi, e quindi trattamenti di favore sono meno scontati. La Bce farà ciò che deve, l’Italia sappia fare altrettanto.