Bruxelles – Sembra una replica dell’autunno 2021, quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva girato i Balcani Occidentali prima del vertice di Kranj, allora considerato cruciale per le prospettive di allargamento dell’Unione nella regione. Poco più di un anno dopo – con una situazione geopolitica profondamente modificata, una guerra scoppiata sul continente europeo, due deludenti vertici Ue-Balcani Occidentali e alcune svolte significative per il cammino di adesione di nuovi Paesi candidati – la numero uno dell’esecutivo comunitario tornerà a viaggiare nelle sei capitali balcaniche per riconfermare il sostegno di Bruxelles ai partner più vicini, in vista dell’imminente summit di Tirana del 6 dicembre.
A rendere noto il programma di von der Leyen nei Balcani Occidentali sono stati i portavoce dell’esecutivo comunitario nel corso del punto quotidiano con la stampa europea di oggi (lunedì 24 ottobre). La presidente della Commissione sarà mercoledì 26 a Skopje (Macedonia del Nord), giovedì 27 a Pristina (Kosovo) e Tirana (Albania), venerdì 28 a Sarajevo (Bosnia ed Erzegovina) e Belgrado (Serbia) e sabato 29 a Podgorica (Montenegro). La numero uno dell’esecutivo Ue “porterà un messaggio di solidarietà e impegno ai Paesi balcanici e di volontà di cooperare con la regione nel suo complesso”, ha puntualizzato il portavoce-capo, Eric Mamer. Il punto focale sarà quello di confermare “l’importanza” dei rapporti con i Sei dei Balcani Occidentali e di rafforzare il messaggio di prospettiva europea: “Vogliamo continuare sulla strada dei negoziati di adesione“, anche nel quadro di “un contesto molto complesso” che coinvolge diverse “crisi successive”. Dalla crisi sanitaria Covid-19 alla guerra russa in Ucraina e alle conseguenze sul piano internazionale ed energetico.
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Come lo scorso anno, non può passare inosservata la prossimità del viaggio di von der Leyen con il summit tra i 27 leader Ue e quelli Balcani Occidentali. “Il prossimo vertice si terrà nella regione, il 6 dicembre a Tirana“, ha reso noto il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, ieri sera su Twitter. È la prima volta che il vertice sarà ospitato da un Paese candidato all’adesione all’Unione, dopo quelli ospitati a Bruxelles lo scorso 23 giugno, in Slovenia nel 2021, in Croazia (in videoconferenza) nel 2020 e in Bulgaria nel 2018. L’obiettivo esplicito è quello di “riaffermare il nostro impegno rafforzato”, ha sottolineato con forza Michel richiamandosi alla “priorità fondamentale” che i Balcani Occidentali rappresentano per l’Unione Europea: “Abbiamo bisogno l’uno dell’altro“.
https://twitter.com/CharlesMichel/status/1584236854575890433?s=20&t=C3K1clbwv0dQ1tT-dF7IcA
Criticità e progressi nei Balcani Occidentali
Dall’ultimo vertice di giugno si sono mossi diversi dossier, in modo positivo (con progressi storici) o negativo (con evidenti passi indietro). La questione più urgente da risolvere dopo il fallimento di Bruxelles è stato il continuo stallo sull’avvio dei negoziati di adesione Ue di Macedonia del Nord e Albania e grazie alla spinta della proposta francese (poi rivista) il 19 luglio è stato dato l’ufficiale via libera a Skopje e Tirana. Un altro tema scottante emerso dal summit di giugno ha riguardato la concessione dello status di candidato all’adesione da parte della Bosnia ed Erzegovina: nonostante il Paese non sia riuscito a mostrare quasi nessun progresso sulle 19 priorità-chiave tracciate dalla Commissione, il più instabile tra i sei Paesi dei Balcani Occidentali ha messo in allarme i Ventisette per i rischi di penetrazione della propaganda russa e di secessionismo. È per questo motivo che l’esecutivo comunitario solo due settimane fa ha raccomandato al Consiglio di concedere a Sarajevo lo status, un passo in avanti considerato a Bruxelles come “una ricompensa per i cittadini, non per le élite corrotte“.
Se queste sono le carte più importanti che l’Ue potrà giocarsi a Tirana, sarà necessaria una riflessione profonda sui file ancora aperti che non stanno andando per il verso giusto nei rapporti con i Balcani Occidentali. Al centro di questo capitolo c’è la Serbia del presidente Aleksandar Vučić. Il Paese è l’unico ad aver fatto evidenti passi indietro sull’allineamento agli standard comunitari sul rispetto dello Stato di diritto, ma soprattutto alla politica estera e di sicurezza dell’Unione: lo spartiacque è stata la guerra russa in Ucraina, con il tentativo di Belgrado di mantenersi su un’ormai insostenibile posizione di neutralità tra i partner economici occidentali e l’alleato storico a Mosca.
Bruxelles chiede insistentemente alla Serbia di rendere coerente la propria politica sulle sanzioni contro la Russia a quella dell’Ue, ma per il momento non si vedono spiragli di un movimento in questa direzione. Qualche margine di manovra maggiore c’è invece sul piano dell’allineamento sulla politica dei visti verso Paesi terzo, per non fare in modo che cittadini extra-comunitari ai cui Paesi non è stato riconosciuto un regime di esenzione dai visti possano viaggiare liberamente verso Belgrado e poi di lì tentare di accedere all’Unione lungo la rotta balcanica: a questo proposito è stata accolta “con favore” la decisione serba di reintrodurre l’obbligo di visto a Tunisia e Burundi, ha reso noto il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano.
Non sono ancora completamente soddisfacenti i risultati per quanto riguarda il dialogo Serbia-Kosovo, la questione più spinosa e delicata nei Balcani Occidentali. Il lavoro dovrà procedere il più spedito possibile, partendo dallo storico accordo sul riconoscimento reciproco dei documenti d’identità nazionali alla frontiera dello scorso 27 agosto, per affrontare controversie sul breve ancora aperte – come quella sulle targhe – e il più grande scoglio dell’intesa definitiva che metta fine a un conflitto diplomatico mai risolto dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza di Pristina da Belgrado nel 2008. All’orizzonte c’è una proposta franco-tedesca di cui non si conoscono i dettagli, ma che potrebbe dimostrare la volontà dei Paesi europei più grandi di trovare una soluzione sostenibile.
A proposito di Kosovo, Bruxelles si troverà davanti un partner agguerrito, con due richieste ormai non più rimandabili. Prima di tutto la liberalizzazione dei visti per i cittadini kosovari, gli unici europei (fatta eccezione per russi e bielorussi) a non poter viaggiare liberamente nel resto del continente per soggiorni di breve durata: l’attesa è arrivata a segnare quattro anni da quando la Commissione ha dato l’ok, ma ora sono gli Stati membri a dover smettere di temporeggiare. A questo si somma la volontà di Pristina di fare richiesta di adesione all’Unione entro fine anno, cioè a ridosso del vertice di Tirana. La prima a sondare le intenzioni e lo stato d’animo del Kosovo e degli altri Paesi dei Balcani Occidentali sarà la presidente von der Leyen, nel corso di un viaggio che si appresta a cominciare. Di nuovo.