dall’inviato a Strasburgo – Alzare l’asticella che l’Ue si è posta relativamente alla riduzione di emissioni entro il 2030 e rispettare l’impegno annuale di finanziamento di 100 miliardi di dollari per gli interventi di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici. Per dare prova di leadership nella rincorsa disperata al mantenimento della temperatura terrestre entro i limiti stabiliti all’Accordo di Parigi, il Parlamento europeo ha approvato oggi una risoluzione in cui ha messo nero su bianco le sue richieste per la COP 27, che si terrà a Sharm el-Sheikh in Egitto dal 6 al 18 novembre.
Alla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, un anno dopo quella di Glasgow, la delegazione del Parlamento Ue arriva in un contesto cambiato radicalmente: la guerra in Ucraina e le sue conseguenze sul mercato dell’energia rendono ancora più pressante la necessità di trasformare il sistema energetico globale. Anche al di fuori dei 27 i presupposti con cui si aprirà la kermesse di Sharm el-Sheikh non sono i più promettenti: nonostante si sia appena conclusa una delle estati più calde di sempre, Cina, India e Russia continuano a guidare il fronte dei Paesi che tirano il freno sugli obiettivi di neutralità climatica, la dimissionaria premier britannica Liz Truss ha invitato il re Carlo III a non partecipare al vertice e, con una mossa tra l’inverosimile e il paradossale, l’Egitto ha annunciato che il main sponsor della conferenza sarà la Coca Cola, multinazionale che difficilmente può rappresentare nel migliore dei modi i principi e gli obiettivi per cui la COP27 stessa si riunisce.
Anche i dati raccolti dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente non sono positivi: secondo l’ultima relazione dell’Unep il mondo si avvia verso un aumento della temperatura di 2,7 gradi, ben al di sopra dell’obiettivo dei 2 gradi previsti a Parigi. Per tutti questi motivi il voto che si è tenuto nell’emiciclo di Strasburgo, per quanto non abbia alcuna valenza legislativa, assume un significato forte e un valore concreto: per invertire una rotta che prende sempre più le fattezze di un harakiri mondiale, l’Unione europea deve alzare la voce e dare l’esempio.
Il Parlamento ha esortato i Paesi sviluppati a “mantenere la promessa fatta ai Paesi in via di sviluppo e raggiungere l’obiettivo annuale di finanziamento per il clima di 100 miliardi di dollari” e chiede che questo finanziamento venga replicato ogni anno fino al 2025. La risoluzione affronta anche uno dei nodi rimasti irrisolti a Glasgow, ovvero quello dell’istituzione di un fondo specifico per le perdite e i danni (Loss&Damage) subiti dai Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici: gli eurodeputati hanno ribadito il loro parere favorevole alla creazione di un fondo che “dia priorità alle sovvenzioni rispetto ai prestiti”.
Per poter interpretare il ruolo da leader prefigurato dal Parlamento, Bruxelles deve però essere ineccepibile nella sua legislazione interna. Dopo aver dichiarato l’emergenza climatica ormai tre anni fa, il Parlamento europeo ha adottato nel giugno 2021 la legge europea sul clima e sta negoziando con gli Stati membri il pacchetto Fit for 55, che consentirebbe all’Ue di raggiungere gli ambiziosi obiettivi di neutralità climatica entro il 2030.
A poche settimane dal vertice egiziano, questo è lo stato dell’arte. Come ha affermato la commissaria agli Affari interni Ylva Johansson in apertura al dibattito, è forte la volontà europea di “mantenere la velocità di crociera” sulla strada verso gli obiettivi di Parigi: all’indomani dell’approvazione da parte del Parlamento del FuelEu Maritime, che promuove l’uso di combustibili alternativi sostenibili nel trasporto marittimo, le parole di Johansson rappresentano il segnale positivo che ancora si cerca a Sharm el-Sheikh.