Bruxelles – L’escalation militare è reale, anzi, è “la più seria dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina”. Lo assicura il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, in una conferenza stampa di riposta alla firma dei trattati di annessione alla Russia delle quattro regioni occupate in Ucraina – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia – al Cremlino, con l’arringa di Vladimir Putin contro l’Occidente e a sostegno dell’ampliamento del territorio nazionale. Un tentativo di replicare quanto già accaduto nel 2014 in Crimea, ma che questa volta non ha margini di riuscita. E lo conferma la reazione di Kiev: “Oggi l’Ucraina chiede di essere parte della Nato de jure, in modo accelerato, compiamo il nostro passo decisivo firmando la domanda di adesione”, è quanto annuncia il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in un video postato sul suo profilo ufficiale Facebook.
“Di fatto siamo già nella Nato, abbiamo già dimostrato la compatibilità con gli standard dell’Alleanza sul campo di battaglia e in tutti gli aspetti della nostra interazione”, è quanto ribadisce con forza il presidente Zelensky per spingere la candidatura dell’Ucraina. “Ogni democrazia ha il diritto di fare domanda, le porte della Nato sono aperte e lo abbiamo dimostrato negli ultimi anni”, ha assicurato Stoltenberg, facendo riferimento soprattutto al Summit di Madrid di giugno, quando “i leader hanno dichiarato che Kiev può scegliere liberamente sulla sicurezza nazionale”. Tuttavia, l’ingresso di un nuovo membro nella Nato “deve essere deciso dagli alleati all’unanimità” – come dimostra anche l’iter di Svezia e Finlandia – e “al momento siamo concentrati nel dare sostegno pratico e immediato a Kiev per difendersi dall’invasione russa”, ha ricordato il segretario generale dell’Alleanza.
Per la Nato la questione più urgente in questo momento rimane però dare una risposta al “più grande tentativo di annessione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale” messo in atto dalla Russia: “Rappresenta il 15 per cento del territorio dell’Ucraina, un’area grande come il Portogallo”. Il “furto” dei territori “non sarà mai riconosciuto” dalla Nato, perché “Donetsk è Ucraina, Luhansk è Ucraina, Kherson è Ucraina, Zaporizhzhia è Ucraina, così come la Crimea è Ucraina”, ha affondato Stoltenberg. Nonostante “né la mobilitazione, né le minacce nucleari, né l’annessione illegale dimostrano forza, ma solo la debolezza della Russia e che Putin ha fallito tutti i suoi obiettivi strategici”, per l’Alleanza Atlantica rimane di primaria importanza non cedere a una nuova politica di appeasement nei confronti del Cremlino: “Creeremmo un mondo in cui con la forza militare si possono creare impunemente sfere di influenza”. Al contrario, “dobbiamo affrontare una guerra in cui non siamo direttamente coinvolti”, ma di cui “non possiamo accettare le minacce nucleari di Putin per chiedere a Kiev di desistere dal riconquistare i suoi territori“, ha messo in chiaro Stoltenberg.
Conferme che rinvigoriscono la posizione di Kiev nel continuare la controffensiva nel sud e nell’est del Paese, nonostante Mosca ora la consideri una violazione della propria sovranità. Sempre il presidente Zelensky ha risposto al falso invito – sarebbe meglio dire all’imposizione – di Putin di “cessare il fuoco cominciato nel 2014” e sedersi ai tavoli dei negoziati di pace, accettando senza battere di ciglio l’ennesima annessione illegale di una porzione del proprio territorio sovrano: “L’Ucraina non negozierà con la Russia finché Vladimir Putin ne sarà il presidente“. I leader del Paese invaso hanno “sempre offerto un accordo sulla convivenza a condizioni eque, oneste e dignitose, ma è ovvio che questo è impossibile con questo presidente” ed è per questo motivo che nel frattempo “l’intero territorio sarà liberato dal nemico”. Kiev avverte che “se non la fermiamo, la Russia non si fermerà ai nostri confini, altri sarebbero sotto attacco, dagli Stati baltici, a Polonia, Moldova, Georgia, Kazakistan”, considerato il fatto che la strategia di Mosca è quella di “riscrivere la storia e ridisegnare i confini con omicidi, abusi, ricatti e bugie”.
Il processo di adesione alla NATO
Per diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
La procedura di adesione alla Nato inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “”e parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri Nato, che attualmente sono 30. A questo punto si aprono nel quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale della Nato.
Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato dalla Nato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.