Bruxelles – Non bastava la stretta sui turisti, ora le porte di Schengen si chiudono anche per i cittadini che vogliono fuggire dalla Russia di Putin dopo l’avvio della campagna di mobilitazione di 300 mila riservisti annunciata dal Cremlino la scorsa settimana. La motivazione è la “minaccia alla sicurezza europea“, come ha ripetuto tre volte nel corso del suo intervento alla stampa in videoconferenza da Stoccolma la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson. Ma questa volta risulta quasi incomprensibile come l’Unione possa ancora fare appello alla resistenza dei dissidenti nel Paese, quando non si schiera nei fatti a sostegno di una popolazione che – finalmente – sta mostrando evidenti segni di insofferenza nei confronti dell’autocrate russo e della sua campagna militare.
Le nuove linee-guida sui visti Schengen per i cittadini russi sono arrivate a nemmeno un mese dalla sospensione del regime facilitato Ue-Russia per tagliare fuori i turisti dal territorio dell’Unione, e soprattutto nello stesso giorno in cui Putin ha firmato i trattati per l’annessione alla Russia delle quattro regioni occupate in Ucraina (Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia). “È chiaramente un’escalation della guerra e questo significa anche una minaccia alla sicurezza europea”, ha spiegato la commissaria Johansson presentando la comunicazione che lascia intendere tra le righe il timore di Bruxelles che tra chi fugge dalla mobilitazione in Russia verso l’Unione possano nascondersi spie o sabotatori. Non è un caso se la misura è arrivata a un giorno dalla decisione del governo finlandese di chiudere i confini a qualsiasi cittadino russo che non richieda asilo politico, definendo tutti gli altri ‘turisti’.
“Gli Stati membri devono valutare in modo restrittivo e coordinato le condizioni di rilascio dei visti Schengen ai cittadini russi“, si legge nelle linee-guida, che includono esplicitamente “i cittadini in fuga dalla mobilitazione militare”, in atto in Russia. Ciò che viene limitata è la possibilità di ricorrere a quel visto che consente a un visitatore di soggiornare per un massimo di 90 giorni per turismo o affari, con la possibilità di viaggiare liberamente all’interno di una zona che comprende 22 Stati membri Ue, oltre a Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein. A questo punto rimane aperta solo la porta dei visti per soggiorni di lunga durata, la cui competenza sul rilascio è dei 27 governi nazionali: “Se un richiedente il visto – ad esempio una persona in fuga dalla mobilitazione militare – prevede un lungo soggiorno nell’Ue, i consolati degli Stati membri devono trattare il caso in base alle norme nazionali”.
Oltre al danno la beffa per tutti quei cittadini che in queste ore stanno cercando un modo per evitare di combattere al fronte in Ucraina, ripiegando su una fugga all’estero. Nel caso di visti per soggiorni brevi, “i consolati sono chiamati ad applicare in modo restrittivo eventuali deroghe umanitarie“, è quanto previsto dalle linee-guida, che sembrano tendere all’esclusione del maggior numero possibile di accessi con visti Schengen al territorio comunitario. Anche perché la questione si estende ai Paesi terzi: “I consolati degli Stati membri dovrebbero inoltre esaminare con attenzione i casi di russi che richiedono un visto per soggiorni di breve durata dall’esterno della Russia“. Con una precisazione che sembra quasi canzonatoria: “Tali casi dovrebbero essere indirizzati al consolato competente per il loro luogo di residenza, di solito nella Federazione Russa”. Anche in questo caso rimane aperta praticamente solo la strada dei soggiorni di lungo periodo o la protezione internazionale.
Le linee-guida di supporto agli Stati membri e ai loro consolati (che non hanno valore vincolante) riguardano anche la possibile revoca dei visti già rilasciati a qualsiasi cittadino della Federazione Russa, “sulla base di un riesame della situazione individuale”. Un dettaglio non irrilevante, che potrebbe mettere a rischio anche la permanenza di chi è fuggito dalla Russia prima della mobilitazione e avesse avuto l’intenzione di rimanere nell’area Schengen più a lungo di 90 giorni. “Quello che vediamo oggi non cambia la questione della protezione internazionale“, ha voluto mettere in chiaro la commissaria Johansson, facendo riferimento al “quadro giuridico applicabile in materia di asilo, compreso il principio di non respingimento”, e alle eccezioni “per ragioni umanitarie, familiari, per i giornalisti e gli oppositori politici”. Queste sembrano però solo parole svuotate di significato, quando alle porte dell’Unione ci sono migliaia di cittadini russi che chiedono un supporto per non andare a morire al fronte in Ucraina e che invece rischieranno di vedersi rifiutati da un’Europa che sta pagando i costi energetici ed economici di quella guerra.