Bruxelles – Parlare con Diodato è come fare un tuffo nelle emozioni più istintive, o, come le definisce lui, “un flusso di umanità”. Si percepisce una serenità e allo stesso tempo una genuinità nei ragionamenti che sfocia in un’analisi a cuore aperto su cosa abbiano rappresentato questi ultimi due anni di sconvolgimenti internazionali e sociali dal proprio punto di vista professionale e personale. Il nuovo tour europeo è appena iniziato e il primo ottobre Diodato si esibirà all’Espace Lumen a Bruxelles, un appuntamento che si prospetta essere “energico, con un’interazione felice del pubblico”, racconta il cantautore tarantino classe 1981 a Eunews, in un’intervista intensa per i temi e le esperienze toccate, e allo stesso tempo leggera nel modo di far scivolare i pensieri e metterli a disposizione dell’interlocutore.
Eunews: Sono passati 4 anni dall’ultimo tour europeo. Quali sono le sensazioni di tornare a cantare di fronte a una platea internazionale?
Diodato: “Sono bellissime emozioni, i primi due concerti di questo tour europeo 2022 a Parigi e Lugano sono stati incredibili. Mi hanno anche fatto molto pensare: abbiamo vissuto un momento particolare di restrizioni, ma la mia musica ha viaggiato nello spazio, permettendomi ora di fare queste tappe. Non vedevo l’ora di regalarmi questo viaggio, nel senso più ampio del termine, che mi ricarica, mi dà ispirazioni e mi stimola davanti a un pubblico internazionale. Mi sta riportando in una dimensione più giocosa e mi riconnette con quella voglia che mi ha spinto a intraprendere questo mestiere”.
E: Manca poco alla data di Bruxelles. Cosa ti aspetti da una città con una grande comunità italiana?
D: “Già nel 2018 Bruxelles è stata una delle date più belle del tour internazionale. Allora era stata a PiolaLibri, ricordo un’atmosfera sospesa, molto intima. Questa volta invece ci sarà la band [al teatro e sala concerti Espace Lumen, ndr] e sarà un concerto molto diverso. Ma mi aspetto una bella risposta dal pubblico, un’interazione felice”.
E: Questi ultimi due anni per te sono stati molto intensi anche a livello professionale. L’album Che vita meravigliosa è uscito poco prima dello scoppio della pandemia e poi c’è stato Sanremo e due Eurovision.
D: “Dopo questi due anni sento dentro un’energia nuova, mi sono rimesso in connessione con le motivazioni profonde che mi portano a scrivere canzoni. Le ho viste utilizzate per descrivere un senso di presenza umana, per racconrare le vite di tante persone, come speravo di fare da ragazzino. Vedere la mia musica diventare un ponte con gli altri, anche quando eravamo chiusi in casa per la pandemia, mi ha sorpreso e risvegliato. Volevo andare a fondo nel mio interesse per la materia umana e non vedevo l’ora di tornare davanti al pubblico”.
E: Sei stato probabilmente la prima persona nella storia dell’umanità a cantare in un’Arena di Verona deserta, all’Eurovision 2020, con gli occhi di tutto il mondo addosso attraverso le telecamere. Cos’hai provato?
D: “In quel momento mi sono sentito parte di qualcosa, di essere tramite di un flusso di umanità presente in quel luogo. L’Arena di Verona ha raccolto le emozioni di chissà quanti milioni di persone passate di lì nella storia. Quella cosa l’ho percepita, anche grazie alla suggestione di essere circondato solo da poche persone che lavoravano attorno a me. In qualche modo ha amplificato le emozioni e non mi sono sentito solo. Non lo dimenticherò mai”.
E: Quest’anno invece sei stato ospite d’onore all’Eurovision a Torino, nel pieno di un’altra crisi, la guerra in Ucraina. Che messaggio ha mandato al mondo la vittoria degli ucraini Kalush Orchestra?
D: “È stata una festa molto consapevole, voleva cancellare i confini, abbattere i muri che qualcuno sta cercando di alzare, lanciare un messaggio di pace, fratellanza e gioia di vivere le cose belle che abbiamo imparato a condividere. La musica è un mezzo fortissimo e a Torino c’era un’emozione in più, per quello che sta accadendo a pochi migliaia di chilometri di distanza, nel cuore dell’Europa. Questa consapevolezza ha trasformato e dato senso a tutte le canzoni, anche alla mia Fai Rumore. Era necessario provare a far rumore e non rimanere in silenzio. Mi sono sentito privilegiato a poter partecipare a questo evento”.
E: Pensi che questa guerra in Europa lascerà una traccia sul panorama artistico italiano e internazionale?
D: “La musica deve raccontare quello che succede, anche attraverso le frasi nelle canzoni. Quando finirà la guerra, far finta che non sia esistita sarebbe un errore non solo per la musica, ma anche per l’umanità. Di guerre ce ne sono in continuazione e dobbiamo ricordarci che tutto è connesso, il nostro stile di vita alimenta e si alimenta con guerre a migliaia di chilometri di distanza da noi. Ecco perché, in un certo senso, anche noi ci trasformiamo a volte in soldati che sparano e distruggono [un riferimento al brano Alveari, ndr], per non cambiare il modo in cui viviamo. Lo vediamo anche ora, con la guerra dietro l’angolo e le nostre vite toccate, a partire dall’aspetto economico”.
E: Anche un tour europeo impatta sulla crisi economica ed energetica?
D: “Sicuramente le dimensioni del tour contano, quelli più grandi possono avere un impatto maggiore sull’ambiente, anche per quanto riguarda le forme di risparmio sui costi. Nel piccolo si possono fare scelte per essere più attenti e se tutte le piccole realtà lo facessero, si potrebbe dare un importante contributo. È giusto fare questo tipo di ragionamenti, perché ci sono delle problematiche economiche e ambientali, però non è nemmeno corretto colpevolizzare solo il cittadino. Vorrei che i grossi problemi fossero presi di petto da Paesi che si definiscono democratici e civili, e che hanno creato negli anni disastri ambientali. Sono tarantino e penso all’Ilva. Come può sentirsi una persona a cui viene chiesto di fare sacrifici sulla doccia o sull’accensione delle luci e poi apre la finestra e vede un mostro del genere?”
E: Un’ultima domanda, tornando al tuo tour. Cosa pensi porterai a casa delle due settimane di concerti in giro per l’Europa?
D: “Sarei contentissimo se tornassi avendo seminato qualcosa nel mio giardino. L’ho coltivato, è stato chiuso, l’ho protetto dalla pioggia e dal vento e ora è più forte. Ha una sua bellezza, che voglio mostrare al pubblico, e mi piacerebbe avere la sensazione di veder germogliare piante nuove”.
E: Un nuovo album, per esempio?
D: “Sì, è quasi germogliato. E già in queste prime date di concerti, quando faccio la scaletta, penso a quando ci saranno nuovi brani da inserire, come farli interagire con quelli di sempre”.